venerdì 31 agosto 2007

Leggere gay come realtà


INDICE E LINK DEI TESTI GAY
RACCOLTI NEI MIEI SITI E BLOG

ROMANZI GAY

IN ITALIANO
QUESTI LEONI 1
QUESTI LEONI 2
QUESTI LEONI 3
QUESTI LEONI 4

I capitoli successivi saranno pubblicati a breve. Due ragazzi si incontrano, dopo estenuanti esitazioni uno dei due si dichiara e scopre che l’altro è etero, ma il loro rapporto non finirà per questo.

IN ENGLISH
ONLY SEVEN DAYS 1
ONLY SEVEN DAYS 2
ONLY SEVEN DAYS 3
ONLY SEVEN DAYS 4
Next chapters will come soon. About three gay guys, two of them are young gay guys, one is an older man. They are searching their way to really love each other.
s
STORIE GAY
s
IN ITALIANO

LA COSA FONDAMENTALE
Storia di due ragazzi gay che non riescono a capirsi perché hanno in comune solo il fatto di essere gay.
VITA GAY NEGLI ANNI 60
Vita gay negli anni 60. Un uomo anziano racconta ai ragazzi di oggi la vita dei ragazzi gay degli anni 60 e parla della vecchiaia gay.
CARNEVALE GAY
Frammento riguardante un ragazzo gay nella sua scuola il martedì grasso.

IN ENGLISH
UPPER CLASS GUYS
A low class guy faces his first day at college with a lot of upper class guys.
s
RIFLESSIONI

PROGETTO GAY
Richiesta di collaborazione per dare voce al mondo gay sommerso.

PROGETTO DI UN ROMANZO GAY 1
PROGETTO DI UN ROMANZO GAY 2
Riflessioni sulla struttura di un romanzo gay e sulle molteplici scelte metodologiche che un autore è chiamato a compiere.

STORIE GAY
Riflessioni su rapporto tra storie gay entrate nella mitologia collettiva e storie vere dei gay.

UN BLOG GAY DURATO UN GIORNO
Riflessioni su un vero blog gay molto promettente che è durato soltanto un giorno.

MIO FIGLIO
Una riflessione su “Mio figlio” con Lando Buzzanca e Giovanni Scifoni.

LEGGERE GAY VERO
Un tentativo di far conoscere i miei testi.

POESIA
LA SCELTA
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LA SCELTA


Tu,
che hai una scelta da fare,
al buio,
senz’altra speranza
che la sorte t’aiuti,
non avere paura,
la scelta va fatta.
Intorno c’è un mondo
c’è gente che ha fretta,
che pensa ma non ne ha bisogno
perché il suo teorema
è già dimostrato.
Intorno c’è gente,
c’è chiasso,
chi alza la voce,
chi ha altro da fare.
Sei solo,
la scelta è un’angoscia sottile
che sembra respingerti indietro,
tu pensi che in fondo
va bene lo stesso,
che forse domani…,
che è solo questione d tempo.

No!
La scelta va fatta,
va fatta per tempo,
lo so che è rischiosa,
lo so che hai paura,
anch’io avevo paura,
anch’io rinviavo a domani.
Ti chiedi se non abbia senso
lasciare scorrere il tempo,
lasciare ogni cosa al suo posto,
aspettare soltanto
una sorte qualunque.
In fondo potrebbe bastare
anche solo sognare,
fingersi un mondo incantato,
vedere l’amore dietro un sorriso,
commuoversi di una parola più dolce,
talvolta anche solo pensare
che qualcuno ti pensi.

No!
La scelta va fatta,
il sogno può essere dolce,
ma all’improvviso
ti svegli,
un sorriso può essere dolce
ma è solo un sorriso,
le parole sono solo parole,
amare non basta
per essere amati.

No!
La scelta va fatta.


7/4/2004

QUESTI LEONI 4

QUESTI LEONI 4
ROMANZO GAY 1986
CAPITOLO 3
(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)
L’indomani Angelo e Marco non si incontrarono, entrambi si chiesero perché ma non stettero a pensarci troppo, il loro distacco non poteva durare di più. La sera Marco chiamò Angelo al telefono.
- Ciao!
- Come va?
- Mah, non c’è male ... più o meno...
- Cioè?
- Niente, non mi va di parlare di me.
- ... e allora parla d’altro...
- Non mi va nemmeno di parlare d’altro.
Angelo voleva chiedere perché Marco non si fosse fatto sentire prima ma gli sembrò una cosa da non fare.
- C’hai gente a casa?
- No!
- ...Dai, parla, su...
- ... senti, io chiudo... scusami.
- ... va be’...
- Ciao.
Interrotta così la conversazione nessuno dei due si allontanò dal telefono, i minuti passarono ma non accadde nulla. Angelo avrebbe chiamato, tanto più che in casa c’era solo Marco ma si sentiva frenato congelato, quasi ridotto alla immobilità. Marco cominciò a sentirsi nervoso, si pentiva di aver telefonato, di essere stato debole, di avere preferito lanciare un segnale, sentiva però la necessità interna di non essere solo. Richiamare sarebbe stato un ulteriore atto di debolezza, gli passavano per la testa mille idee e poi il rapporto con Angelo gli andava stretto, diceva a se stesso che si sentiva condizionato e che quel tipo di rapporto non gli piaceva, lui non doveva dipendere da nessuno... in fondo stava così bene prima, doveva solo tornare alla vita di prima che era meno strana, più normale, con tanti pensieri assurdi di meno... ma poi, che cosa avrebbe fatto? Finché non ci si è innamorati e non si sono avuti amici veri è facile restare soli... ma quando si è sperimentata in qualche modo la vita a due come si fa a tornare indietro, a dimenticarsi delle ansie e delle gioie che hanno dato almeno l’impressione di vivere?
La decisione spettava solo a lui. Prese la cornetta, cominciò a formare il numero, non arrivò fino in fondo, chiuse nervosamente il telefono. Prese un foglio e una penna, già scrivere caro davanti al nome di Angelo gli sembrava strano, stracciò il foglio, decise che dall’indomani avrebbe vissuto in tutt’altro modo, cercò di immaginare come: studiando, riprendendo a frequentare i suoi compagni di scuola, Lucia in particolare gli sembrava l’unica via di salvezza. Gli dispiaceva che Angelo potesse restarci male ma si sforzava di non pensarci, in ogni caso avrebbe cominciato una vita nuova, più libera, con meno scrupoli, finalmente tutta sua. Camminava per la casa facendo questi progetti, aprì una latina di birra e la bevve d’un fiato, quando sentì una prima sonnolenza, vestito com’era, tirò su la coperta e si addormentò, con la radio accesa per fargli compagnia.
Angelo portò il telefono sul suo comodino per non seppellire la speranza, si sentiva puro in un’ebbrezza di abbandono, come sempre gli era accaduto, tornava alla realtà, provava dentro di sé un senso di assurda disperazione e di pace. Con amore rifece il letto, poi andò alla libreria, ne prese le poesie di Pasolini, le poggiò sulla sedia accanto al letto, accese la lampada da notte e spense la luce, si spogliò lentamente, ripiegando gli abiti con cura, osservò il suo corpo, si sentì stanco, entrò nel suo letto come in un sepolcro, aprì il libro che leggeva soprattutto nei momenti di sconforto.
“Un po’ di pace basta a rivelare
dentro il cuore l’angoscia...
Per quali strade il cuore
si trova pieno, perfetto anche in questa
mescolanza di beatitudine e di dolore?
... Si distendono
appena le passioni, si chiude la fresca
ferita appena, che già tu spendi
l’anima, che pareva tutta spesa,
in azioni di sogno che non rendono
niente...”
Queste parole di Pasolini erano per Angelo il vero Vangelo, chiuse il libro, lo ripose, si allungò nel letto, lasciò correre i pensieri, non spense la lampada, osservava i soliti quadri, le solite ombre, ascoltava i soliti rumori, dentro di sè diceva: certo adesso Marco si porterà dentro anche un po’ di me, vorrei che tutto questo non gli facesse male, io sarei felice anche di chiudere tutto così se sapessi che lui sta bene, vorrei che non dovesse mai soffrire per quello che ha scambiato con me. Marco, perdonami se puoi, io non conosco la misura comune del bene e del male. Gli pareva di sentire la voce di Marco, di vederlo, che cosa avrebbe fatto se fosse stato lì davanti a lui? Gli avrebbe lasciato il suo letto e si sarebbe seduto lì vicino a vederlo riposare, allora sì avrebbe avuto il cuore sereno... ma Angelo sapeva che questi sono i sogni che non rendono niente... o anzi rendono tollerabile l’angoscia profonda della solitudine e del senso della diversità. La parola mai tornava di tanto in tanto alla mente di Angelo e l’immagine di Marco andava svanendo piano piano. Spense la luce, venne il sonno, l’incubo della purezza e della solitudine, sognò di parlare con Marco ma non riusciva a capire che cosa dicesse, era tutto confuso, tutto impossibile, ma poi anche il sogno svanì, il corpo di Angelo riposò nell’assoluta serenità del vuoto e della rinuncia. La ribellione per la ricerca dell’impossibile è solo razionale, la coscienza profonda sa che è inutile e accetta. L’unica saggezza era andare avanti e non fingere di avere una speranza. L’indomani al risveglio Angelo era sereno, riposato, la giornata era luminosa, qualche striscia di sole invadeva la stanza, era un altro giorno.
Quella stessa mattina Marco andò a scuola in modo meccanico, svogliatamente, si sentiva vivere. Avrebbe dovuto solo riprendere i rapporti con i sui compagni, avrebbe dovuto solo riprendere la vita normale che faceva “prima”, qualche ragazza carina non gli sarebbe certamente mancata, sarebbe bastato lasciarsi andare un po’ e sarebbe diventato amore... poi cambiava idea e cominciava a pensare che sarebbe rimasto solo, che non sarebbe mai riuscito ad innamorarsi e difatti non gli era mai capitato, quando lui e Caterina stavano insieme non si sentiva inibito, si comportava con Caterina come fanno tutti i ragazzi, giocavano un po’, ma mentre Caterina sembrava coinvolta emotivamente, Marco recitava un ruolo, qualche volta anche eccitante, ma un ruolo, non aveva mai pensato che Caterina fosse una persona come lui o che potesse essere la speranza vera della vita, in sostanza non si era mai sentito innamorato di Caterina. Anche se Marco non si sentiva un ragazzo come tanti altri, non sfuggiva per questo al portarsi dietro degli schemi mentali molto rigidi, per lui amicizia, amore e sesso erano tre realtà teoricamente ben definite e distinte, non cercava di adeguare i propri pensieri ai desideri, ma al contrario cercava di condurre la propria affettività secondo ciò che aveva imparato essere bene e male. In qualche modo, proprio perché percepiva il peso della norma tentava in ogni modo di conformarvisi e si valutava sulla maggiore o minore riuscita di questo tentativo. Marco ci teneva molto a considerarsi una persona normale, questa categoria era per lui fondamentale, lo condizionava. Se da un lato voleva fare di tutto per sentirsi nella norma, dall’altro si rendeva conto che la volontà in certe cose non serve, si sentiva in conflitto con la norma, avrebbe voluto seguirla e in ogni caso non avrebbe fatto nulla per uscirne. Incontrare Angelo lo aveva messo in crisi, ma la risposta prevalente era stata la fuga. Tutte queste cose Marco le sapeva ma evitava di pesarle, il coinvolgimento emotivo che aveva provato negli incontri con Angelo era fortissimo, ma Marco non tollerava di vedere assottigliarsi il confine tra amicizia e amore, certe volte gli pareva di stare così bene da provare quasi una intimità di tipo sessuale, ne era rimasto molto scosso, non era Angelo che lo spaventava ma la tentazione di accettare un’altra vita. Marco, secondo i suoi ragionamenti, non aveva scelta, doveva fare quello che aveva fatto, doveva andarsene e basta, se fosse stato tutto qui, dato lo strappo, poteva bastare lasciare trascorrere il tempo e non pensarci più, ma non era tutto lì, a quel principio di storia sentimentale bisognava sostituirne un’altra e qui Marco sapeva bene che avrebbe rinviato sempre. Stare soli è brutto, ma innamorarsi per dovere morale è peggio, Marco sapeva che non sarebbe accaduto, cercava di definire i suoi rapporti con una ragazza in termini di eccitamento sessuale, così come gli era capitato con Caterina e questo in qualche modo lo confermava nella sua opinione di normalità. Prima di conoscere Caterina Marco viveva la sua sessualità masturbandosi di tanto in tanto, non aveva mai avuto problemi per questo perché riusciva benissimo a farne a meno e non aveva i tipici complessi che tanti ragazzi hanno su queste cose, quando gli capitava era spesso in coincidenza di sogni e non si trattava neppure di sogni erotici nel vero senso della parola ma di immagini il cui contenuto prevalente era il contatto fisico con altri corpi, ma questo contatto non era di natura propriamente sessuale ma di carattere indefintamente fisico, come una comunione di nudità senza imbarazzo, erano tuttavia immagini di un contatto molto dolce, tanto che Marco qualche volte giungeva a bagnare il suo sogno, qualche volta si svegliava e cercava di concentrarsi su qualche contenuto di carattere tipicamente sessuale, a Marco il sesso piaceva molto, soprattutto come fantasia, come creazione mitica di un mondo di tenerezza, l’aggressività sessuale, l’idea di sesso come forma di dominio, o anche il sesso disimpegnato, come forma di solo gioco, non lo interessavano. In genere non era soddisfatto del fatto di masturbarsi, gliene restava come una specie di nausea, non così per i sogni in cui l’orgasmo giungeva da solo. La storia che aveva avuto con Caterina quando aveva sedici anni era spesso presente nei discorsi di Marco, meno spesso nei suoi pensieri. Caterina era fisicamente carina ed era per di più una ragazza molto timida, si erano conosciuti a scuola, per caso, Caterina aveva un anno meno di Marco e frequentava allora il quinto ginnasio, Marco era in primo Liceo, sembrava più grande della sua età e aveva fama di essere un ragazzo molto serio, che sapeva stare al suo posto, e per di più era un bel ragazzo. Caterina cominciò a scambiare qualche parola con Marco durante la ricreazione, si trovavano simpatici a vicenda, Caterina era intelligente e vivace, aveva occhi profondi e sorriso luminoso, Marco la considerava un’amica, presero l’abitudine di incontrarsi il pomeriggio dopo la scuola, uscivano tenendosi per mano, ai giardini Caterina appoggiava la testa sulla spalla di Marco, Marco si sentiva a suo agio, stava bene in quella situazione ma non parlava d’amore. Si incontravano al mattino a scuola e decidevano di vedersi nel pomeriggio, era tutto molto semplice. Poi Caterina cambiò scuola e al mattino non si incontrarono più. Caterina telefonò più volte a Marco per mettersi d’accordo e incontrarsi nel pomeriggio, Marco non disse mai di no, continuarono a incontrarsi per un po’, poi Caterina non telefonò più e Marco riprese l’abitudine di andare in giro da solo. Dopo due mesi di silenzio, il giorno della su festa, Marco telefonò a Caterina, la risposta fu gelida, Marco si chiese perché avesse ritelefonato... concluse che non poteva che finire così. A arte quella ultima telefonata alla quale non diede mai troppo peso, Marco continuò con tutti e anche con se stesso a parlare bene di Caterina ma non desiderò mai di tornare indietro. Quella storia lasciò su di lui alcune tracce. Fu felice di non essersi mai smentito in difficoltà e di essere riuscito ad essere sempre padrone di se stesso. Qualche volta provava a richiamare alla mente il ricordo di Caterina e a colorirlo di valenze sessuali me era piuttosto un esercizio per mettere alla prova se stesso.
Marco aveva molti amici, forse troppi, molti li conosceva soltanto per averci scambiato qualche parola, con pochi aveva l’abitudine di parlare, quattro o cinque gli telefonavano di tanto in tanto, ma tutte queste persone vivevano una vita molto diversa dalla sua e Marco lo sentiva, anche a loro non diceva mai di no, era un modo, un tentativo, per non restare solo del tutto, lo trattavano in modo semplice e diretto, lo rispettavano molto, ne era contento, ma dai loro discorsi e dai loro comportamenti capiva benissimo di essere un ospite, di riguardo quanto si vuole ma un ospite, uno che non fa parte del gruppo. La maggior parte dei pomeriggi Marco restava solo, quando era freddo stava in casa a leggere o a vedere la televisione. Nessuno dei suoi compagni era mai andato a trovarlo a casa sua e nessuno sapeva neppure di preciso dove abitasse. La sua casa, il padre, la madre, il fratello e la sorella per Marco erano sempre stati il suo vero mondo, l’unica vera ancora di salvezza che non fosse mai venuta meno. Quando usciva tutti i pomeriggi con Caterina, la madre lo rimproverava sempre di essere un perdigiorno e di non avere la testa a posto, ma tutti i pomeriggi Marco aveva una camicia perfettamente stirata e un po’ di soldi in tasca per andare a prendere un gelato o una pizza.. Il padre di Marco era quasi sempre fuori per lavoro, rincasava tardi, coi figli parlava poco, li lasciava molto liberi. Quando Marco compì diciassette anni il padre gli fece trovare le chiavi di un motorino nuovo sul comodino con un biglietto: “Stai attento a non farti male. Ciao! Papà”. Al diciottesimo compleanno il padre lo aveva iscritto alla scuola guida e gli aveva detto: “Non prendere impegni nei giorni dispari della settimana perché da lunedì hai le lezioni di guida”. Il padre di Marco aveva pochi amici, tre o quattro, uno decisamente anziano e altri della sua età, quello più anziano si chiamava Gaetano e viveva solo, dicevano che sotto il fascismo era andato al confino, lui diceva per motivi politici, altri insinuavano perché dell’altra sponda. Un giorno Gaetano fu invitato a pranzo con tutta la famiglia di Marco al completo. Era un uomo vecchio, molto curato nella persona, quando parlava cercava di essere gentile, ma dava l’impressione di un vecchio che fa appello a tutte le sue forze per restare padrone di se stesso e non essere di peso a nessuno. Dopo il pranzo il padre di Marco uscì con Gaetano, quando rientrò Marco gli chiese:
- Senti, papà, ma è vero quello che dicono di Gaetano?
- Sì, è andato al confino... adesso non so quanto tempo...
- Ma le gente dice che non c’è andato per motivi politici...
- Marco, ... non sono affari tuoi.
- Scusa... buona notte.
- Ciao Marco.
Quando rientrò nella sua stanza Marco si sentì felice di avere un padre, era contento che suo padre fosse così, gli voleva bene perché in fondo con quattro parole gli aveva dato una lezione indimenticabile. Due settimane dopo Marco comprò un portafoglio per il compleanno di suo padre, si fece una foto in atto di salutare con la mano e la mise nel portafoglio. La notte, quando il padre tornò a casa dormivano tutti, potevano essere le tre, Marco era rimasto alzato, poi si era addormentato sulla poltrona dell’ingresso, quando sentì il rumore della porta si svegliò, poi disse sotto voce:
- Ciao, tanti auguri!
Il padre prese il pacchetto, lo aprì, vide la foto.
- Grazie Marco.
Poi abbracciò il figlio per alcuni secondi. Era una cosa assolutamente insolita, Marco era felice.
- Adesso vai a letto che domani devi andare a scuola ,e... grazie.
- Buonanotte.
Il fratello di Marco aveva tredici anni, la sorella sedici, andavano d’accordo, Marco si sentiva più grande, in qualche modo per il fratello e la sorella era lui la colonna della casa.
Marco amava la sua stanza, i suoi libri, i suoi diari, le sue carte, era piuttosto ordinato, teneva con cura i vestiti, era attento alla cura del suo fisico, avrebbe dovuto portare gli occhiali per una leggera miopia, ma non lo faceva, amava il dolce far nulla, la tranquillità, il riposo, le fantasticherie, gli piaceva restare a letto il più possibile nelle giornate d’inverno, oppure guardare attraverso la finestra lo spettacolo della estrema periferia di Roma, il bighellonare dei ragazzi, il vivere delle famiglie dietro i vetri degli altri caseggiati. Marco amava anche il suo quartiere e quella gioventù che vi cresceva troppo spesso senza amore, ce l’aveva con quelli dei quartieri bene della città, non parlava mai del luogo dove viveva nè della sua famiglia proprio perché per lui erano cose troppo private, capaci di toccarlo nel profondo. Marco era abituato ad essere trattato con amore ed era cresciuto in un’atmosfera sostanzialmente serena, non era in conflitto con i suoi genitori, si sentiva un bravo ragazzo ed era fiero di questo sentimento, non dava peso al denaro e all’arrivismo, in politica era sempre dalla parte dei più deboli e a favore delle grandi cause, si sentiva in pace con Dio e col prossimo, aveva la coscienza a posto, non aveva mai agito contro la sua coscienza, era contento di sè e del suo saper obbedire, del suo saper rispettare le regola. Conoscere Angelo gli aveva lasciato il dubbio che tutta la sua serenità potesse crollare da un momento all’altro. Marco era rimasto impressionato dal rispetto timoroso con cui Angelo lo trattava, Angelo non era mai stato aggressivo, era sempre stato disposto a cedere. Marco ripensava all’aria di vecchio impacciato che aveva letto sul volto di Gaetano. In ceri momenti Marco pensava che Angelo gli avrebbe ritelefonato e cercava di costruire qualche frase gentile per dire che doveva andare per la sua strada, in altri momenti aveva la certezza che Angelo non si sarebbe più rifatto vivo e si diceva che lui non lo avrebbe richiamato... o forse sì, dopo qualche mese, con la scusa del Natale... in fondo telefonare per Natale vuol dire ricordarsi di una persona, è come dire: io vado per la mia strada ma di te ho conservato un buon ricordo. Quando Marco rientrò a casa dalla scuola, subito dopo il pranzo si gettò sul letto, provava la terribile sensazione di sentirsi solo, uno squillo di telefono lo fece trasalire: un attimo lunghissimo con pensieri turbinanti, era una zia che voleva parlare con la madre, Marco si trovò impreparato di fronte alla sua stessa reazione: dunque dimenticare non era così facile, vinse la tentazione di telefonare, uscì, andò all’Eur, girò per i giardini, non si fermò un istante, doveva dimenticare tutto questo... ma come? Il suo girare gli sembrava inutile, senza senso, continuò fino alle sei del pomeriggio, poi entrò in una libreria, comprò le poesie di García Lorca, qualcuno gli aveva detto: il più grande poeta d’amore di Spagna, scese vicino al laghetto, si sedette sul muretto e cominciò a leggere., Lorca era del ‘98, dunque le prime poesie erano state scritte tra i venti e i ventun anni. Marco rimase strabiliato come da una scoperta inaspettata. Quale sofferenza terribile doveva esserci nel cuore del giovane Lorca! Se questo era l’amore aveva un sapore di lacrime disperate, un tentativo di farsi sangue lirico. Marco andava avanti nella lettura e si sentiva quasi una morsa al cuore, una voglia assurda di piangere. Chiuse il libro e rimase a pensare o meglio a vivere dentro di sè le sensazioni ce aveva cominciato a provare, avrebbe voluto conoscere García Lorca, parlarci, sarebbe stato ad ascoltarlo in silenzio. A casa la sera non si trattenne a vedere la televisione, si mise sul letto a leggere, provava una emozione di tipo affettivo, tangibile, quasi fisica, si sentiva vivere attraverso le parole di Lorca, gli sembrò che il mondo fosse bello e che comunicare quello che aveva nel cuore fosse una cosa meravigliosa. Nelle poesie di Lorca ravvisò più di qualche cosa che lo mise in allarme, questo non bastò per allontanarlo dal libro. Il libro non lo aveva colpito in modo generico, dietro quei versi Marco rivedeva Angelo e se ne rendeva conto, leggere significava in qualche modo indagare l’anima di Angelo, le sue sofferenze, i suoi pensieri più nascosti, le cose che non avrebbe mai detto. In questa operazione Marco si sentiva al sicuro, Angelo non poteva vederlo mentre scavava nella sua anima, poi Marco pensò che non era al sicura da se stesso e che Angelo lo spiava proprio dal fondo della sua anima, tuttavia non aveva paura: l’essenziale era non rivedere Angelo, quanto a dimenticarlo, perché avrebbe dovuto? Stava imparando a conoscere il mondo di Angelo, poi gli venne il dubbio che quel mondo fosse anche il suo. Di pensare Marco non poteva farne a meno, decise di poterselo permettere, telefonare ad Angelo si diceva che non lo avrebbe mai fatto. Quella serata trascorse così, Angelo non c‘era ma la sua presenza si sentiva nell’aria, Marco cominciava a sentirsi in colpa, si chiedeva che cosa potesse essere passato per la mente di Angelo, come potesse stare in quegli stessi momenti, cercava di immaginarlo, ma non poteva, non doveva, doveva solo dimenticare e basta, era stato solo un episodio, rimase a pensare parecchio tempo... poi venne il sonno. E in realtà Marco non poteva immaginare ciò che occupava l’anima di Angelo, erano infatti sentimenti contorti in cui non è facile distinguere amore e dolore, Angelo non riusciva a non pensare a Marco e neppure si sforzava di dimenticare, una sola idea fissa lo lacerava, si diceva da se stesso che avrebbe dovuto evitare del tutto evitare del tutto di lasciarsi andare, avrebbe dovuto perfino evitare di parlare con Marco e invece si era abbandonato a chissà quali speranze (maledetta la speranza!) e per una stupida speranza aveva finito per lasciare un segno su Marco. Si chiedeva come Marco lo avesse giudicato e più ancora come lo avrebbe giudicato a distanza di tempo e quale sensazione potesse restare in Marco per essere stato coinvolto in una situazione come quella, in certi momenti avrebbe veramente desiderato di essere dimenticato completamente, ma in altri quella stessa speranza che cercava di demonizzare e di esorcizzare gli tornava limpida davanti agli occhi insieme con l’idea che “forse” non aveva sbagliato. Angelo Amava Marco, in quel ragazzo dall’anima pulita e generosa avrebbe voluto vivere, fosse anche per un attimo, il tempo di offrirgli la sua vita o la sua morte. Angelo non si sentiva abbandonato o triste, ormai aveva smesso di vivere per se stesso, Marco era la sua seconda anima, Angelo si era innamorato tre o quattro volte di ragazzi che aveva avuto vicino ma i suoi amori erano finiti subito perché totalmente a senso unico. Nessuno dei ragazzi che Angelo aveva amato se ne era nemmeno accorto ed era meglio così perché la risposta sarebbe stata sgradevole, pian piano si impara anche a non esistere. Come era diverso parlare con Marco, stargli vicino, vederlo piangere e poi sorridere di nuovo. Che cosa poteva essere l’amore se non questa forma di incontro? E poi Marco aveva capito certamente il senso dei discorsi che avevano fatto, sì, era andato via, ma non subito, con rispetto, con amore. Angelo vedeva Marco con un tale senso di tenerezza che aveva sublimato del tutto perfino il sesso. Angelo capiva che suo dovere era quello di non farsi vivo, accettava tutto quanto con gioia e avrebbe accettato perfino di non rivedere più Marco se avesse capito che era meglio per lui. In fondo, Marco solamente gli aveva dato l’anima, gli aveva voluto bene, magari per un momento, Angelo era sicuro di questo, aveva la certezza di essere stato amato almeno per un attimo e per quell’attimo era disposto anche a sparire. Amore contro amore, sarebbe stato felice così. Angelo era sospeso in una specie di limbo, il suo destino era solo l’attesa ma pervasa dall’immagine di Marco l’attesa era dolce. Al lavoro Angelo vedeva di tanto in tanto il suo pensiero fuggire, rifugiarsi nel suo paradiso, cero poteva essere solo fantasia ma il confine tra la fantasia e la speranza è molto lieve. Come avrebbe voluto che l’attesa fosse finita, come avrebbe voluto superare quelle attese, verso qualche cosa, verso qualsiasi cosa. Tornava a pensare che da Marco era stato trattato con finezza, con dolcezza, con rispetto, in una sola parola con amore. Il pomeriggio Angelo rimase in attesa di ciò che ben sapeva non sarebbe accaduto, ma lui sarebbe rimasto in attesa come che aspetta che Dio gli parli, gli risponda, si ricordi di lui. Angelo si abbandonò a pensieri di felicità, si proiettò lontano con il cuore e con la fantasia... e se la vita fosse qualche volta meno oscura? Se l’amore esistesse perché non dovrebbe essere quello che ho provato o? Marco non era un ragazzo da conquistare, era la dimostrazione che anche per Angelo era possibile amare ed essere amato, la felicità di Marco sarebbe stata la felicità di Angelo, fosse consistita anche nel distacco definitivo. Col passare dei giorni i propositi di Marco divennero meno definiti, cominciava a sentirsi solo, in casa sua madre lo guardava dissimulando qualche preoccupazione, avrebbe voluto chiedergli che cosa avesse ma non lo fece. Marco usciva tutti i pomeriggi e andava in giro per la città, evitava di andare agli appuntamenti con i suoi amici e poi se ne giustificava, talora vi andava e si sentiva totalmente estraneo. Marco capì quanto possono essere lunghi dieci giorni. Una sera rientrato dal girovagare pomeridiano pensò che se voleva chiamare era segno che doveva chiamare. Se fosse rimasto deluso da Angelo non lo avrebbe chiamato più e avrebbe almeno avuto un motivo veramente suo per non farsi risentire. Pensò che doveva andare fino in fondo, che sarebbe tornato indietro solo se Angelo lo avesse deluso, non poteva e non doveva esserci nessun’altra ragione. Prese in mano in telefono.

VITA GAY NEGLI ANNI 60


Essere gay non è un problema, almeno non è un problema grosso, voglio dire: la fame nel mondo, l’ingiustizia, la povertà sono problemi nel vero senso della parola, problemi complessi che toccano miliardi di persone e che creano sofferenza, il cosiddetto problema gay, di fatto, almeno qui in Europa, è un problema piccolo, non richiede denaro o mezzi ma solo una società più civile. In fondo non sarebbe nemmeno troppo difficile la convivenza, solo con un minimo di tolleranza reciproca e col passare degli anni qualche raggio di sole si comincia a vedere. O no? Comunque stiano le cose o comunque le si voglia valutare resta che questi sono solo problemi o non problemi dei giovani gay, i vecchi ormai hanno fatto il loro corso, la loro esperienza non può essere riciclata o forse si? Comunque sono cambiate le condizioni, i giovani hanno altre prospettive, i giovani hanno sempre altre prospettive, basta sentire le discussioni in televisione, i giovani hanno sempre capito tutto, o meglio quelli che strillano hanno capito o credono di aver capito sempre tutto, gli altri stanno solo ad assistere a tutto quello che verrà, la condizione passiva se la portano nel sangue, anche perché combattere serve solo ai giovani. Forse qualcuno dei vecchi ha vissuto in qualche paradiso dell’eden, in un’Italia senza repressione e senza chiesa, ma è solo un’ipotesi e poi dovrebbero essere troppo vecchi, fatto sta che tanta letteratura e tanta televisione che si vede in giro è solo sui gay giovani, sui vecchi c’è poco o nulla, diceva Marco Aurelio che il sole che sorge ha sempre più adoratori del sole che tramonta. Eppure la vecchiaia gay non è solo un’ipotesi è una realtà comune di tantissime persone, di quelli che si ricordano delle loro paure e dei loro amori quando ne hanno avuti, perché moltissimi hanno vissuto solo di desideri e di attimi rubati, perché a quel tempo vivere un amore omosessuale era difficile, troppo difficile per essere possibile, allora si contavano le parole, gli sguardi, c’era la chiesa che spiegava ogni cosa e ti metteva in mente che tu non avresti nemmeno dovuto esistere, l’erotismo degli altri serviva a collaborare al piano di Dio, quello tuo serviva a realizzare il regno si Satana, eppure ti sentivi nascere dentro un amore vero, nulla di contorto o di satanico, allora la via era difficile, non c’erano gruppi organizzati, oggi ce ne sono troppi e soprattutto hanno finalità troppo commerciali o politiche per avere una credibilità, allora c’erano le grandi idee da rispettare: che fai? non ti sposi? e perché? Allora c’era l’idea della famiglia come obbligo, come condizione di normalità, allora non c’era il gay, c’era il frocio, allora la crocifissione del gay era la regola, oggi è sufficiente la solitudine. Allora le libertà sessuali c’erano, erano tante, ma tutte ritualizzate in una dimensione almeno apparentemente etero, c’erano i giochi a sfondo tipicamente sessuale, la nudità fra ragazzi non era una cosa rarissima, c’era cameratismo, potevi fare i tuoi apprezzamenti su un altro ragazzo ma sempre ridendo e parlando di donne. C’erano i ricchi e i poveri, allora la distinzione contava di più, oggi un povero è quasi meno povero, ma allora era povero anche culturalmente allora un povero si sentiva povero e aveva paura, se vuoi, puoi dire rispetto, di quelli più ricchi di lui, la ricchezza era una condizione relativa all’essere e non all’avere. Allora tu non sapevi, eri giovane, ragazzo, addirittura ragazzino o poco più, provavi dei sentimenti e non sapevi o si faceva di tutto perché tu non sapessi di che cosa si trattava, c’era il prete pronto a spiegarti che la cosa si sarebbe risolta da sé se tu avessi trovato la ragazza (o la puttana) giusta, a casa poi niente libri o giornali che toccassero l’argomento, l’argomento proprio non esisteva, c’erano i giornaletti porno ma praticamente tutti etero e poi andarli a comprare all’edicola sotto casa era una cosa troppo rischiosa... si facevano passeggiate di chilometri per comprare un giornaletto porno in un altro quartiere, però c’erano anche degli aspetti positivi, almeno sotto un certo punto di vista, la privacy allora non esisteva, si viveva in tanti in una casa piccola, allora la popolazione era in crescita, per i poveri soprattutto esisteva una dimensione collettivistica, per i ricchi meno. Oggi i gay in genere li vedi troppo, e specialmente dove non c’entrano nulla, al tempo avevi addirittura l’idea di essere l’unico, anche se, in effetti, anche oggi, al di fuori di quelli che fanno capo alle associazioni, di gay dichiarati ne vedi pochi, almeno di quelli di una certa età... non dico della mia età, ma anche di quelli di quarant’anni, ecco oggi di gay giovani ne vedi tanti, di quelli vecchi ne vedi pochissimi, perché la stragrande maggioranza è rimasta legata alla sua mentalità e alla sua paura, o direi meglio alla sua vita, quando la paura diventa l’essenza della vita si identifica con la vita. Ma un gay vecchio di oggi che vita fa? In genere è solo, magari infilato in una gran truppa di parenti che aspetta prima o poi l’eredità (piccola o grossa) dello zio, o peggio è solo come un cane, solo anche perché povero, con una pensione da sopravvivenza e in questo finalmente uguale a molti altri, che però hanno almeno una pensione di reversibilità, parlo soprattutto di vedovi vecchi, ma in ogni caso il gay vecchio è solo in un senso speciale, può parlare di tutto ma non della sua vita, di politica, di soldi, di ladri, perfino di donne, ma deglii amori gay, dei ricordi o delle fantasie mai realizzate della sua vita non può nemmeno accennare e poi ai ragazzi gay si perdona qualsiasi cosa perché sono giovani e hanno sempre ragione, sono puri (almeno in un certo senso) ma la vecchiaia è la forma peggiore di impurità, la vecchiaia deve essere legata a chissà quali cose nobili perché la vecchiaia legata al ricordo o al desiderio o meglio alla fantasia sessuale e automaticamente una cosa sporca, non perché c’è di mezzo qualcosa di sessuale, ma perché la sessualità è contaminata dalla vecchiaia. E poi per un vecchio il sesso è deprimente anche nella dimensione del ricordo perché la sessualità vera è una questione fisica e con gli anni queste cose si perdono, il sesso, nella misura in cui è possibile con l’andare degli anni, non fa che sottolineare che non è più tempo per quelle cose, in questo caso l’anima invecchia più lentamente del corpo, ma forse anche l’anima invecchia e anche l’idea dell’amore, anche quello affettivo, emotivo, finisce con l’età, alla fine non ne puoi più di cercare l’araba fenice, alla fine ti rendi conto che hai passato una vita a cercare e che non hai concluso nulla, qualcuno sì, ti ha voluto bene ma poi è finito tutto, cose più o meno nobili, ma passato, e con un passato così dietro le spalle non c’è nemmeno più voglia di futuro, ti bastano i dolori, la fatica dell’alzarsi la mattina, anche se poi quando vai in giro per la strada qualche bel ragazzo ti fa tornare qualche fantasia ma è più un piacere estetico che un interesse sessuale, tu non c’entri nulla, c’è un tempo per tutte le cose, che cosa avresti da dire a quel ragazzo, gay o etero non conta più nulla, se è un etero il discorso è banale, ma se è gay è ancora più deludente perché ormai la differenza tra te e qual ragazzo non è data dal sesso ma dalla aspettativa di vita e di felicità, tu potresti essere un buon nonnetto per quel ragazzo ma non vi capireste mai, tu tutto questo lo sai benissimo e lasci perdere, d’altra parte che altro potresti fare? Ormai siamo vecchi, la prospettiva è chiudere al meglio le cose, non quelle gay ma proprio tutte, eppure la nostra vita ha avuto delle sue caratteristiche, era una vita gay, oggi direbbero che era un purgatorio e non una vita, eppure abbiamo vissuto, noi vecchi ci siamo stati e tutto quello che si godono questi ragazzi di oggi non l’hanno conquistato loro ma noi, piano piano, a partire dal poco, altro che tutto e subito, altro che “diritti”, si trattava di trovare uno spazio, di cominciare dal poco, dalla tolleranza, dall’essere accettati, dal trovare un amico che ti volesse bene, il sesso era un problema soprattutto di ipotesi, poco di realtà, anche allora c’erano le donne nude, meno di oggi, ma qualche cosa si cominciava a vedere, forse non erano nude, ma in costume da bagno, ma bei ragazzi, non dico nudi ma nemmeno senza camicia, se ne vedevano pochi, dovevi andare al mare, lì qualche sorriso si rimediava ma doveva essere un sorriso rubato, una complicità, poi c’era il militare, la visita a diciotto anni, tutti nudi alla sala medica, uno spettacolo unico, un imbarazzo terribile e nello stesso tempo un interesse morboso, un’esperienza che cominciava a scavare nella fantasia ben prima che divenisse reale e si stampava poi in modo indelebile nella memoria, all’approssimarsi del giorno fissato cresceva il panico, soprattutto per il rischio di non riuscire a controllarsi in una situazione simile, ma con un fortissimo precondizionamento psicologico ci si poteva riuscire, poi, a casa, stavi a fantasticarci per mesi. Anche a scuola quando si faceva ginnastica, la materia più malandrina che c’è, andare allo spogliatoio era un piacere, uno dei pochissimi veri piaceri per un ragazzo gay dei miei tempi, era una piacere pesantemente condizionato da scrupoli religiosi, oggi sembra quasi assurdo dirlo, ma era un piacere, già vedere i ragazzi in mutande era un piacere, c’era un clima di naturalezza, di situazione assolutamente ordinaria, ogni tanto qualche scherzo un po’ pesante ai danni di qualcuno, ma così, per scherzare, io stavo sempre al di fuori di queste cose, mi bastava guardare, in genere la vittima designata degli scherzi più pesanti (che cambiava di volta in volta) faceva finta di arrabbiarsi, ma anche quello era un gioco, allora non c’erano le docce, lo spettacolo del nudo integrale non era comune, ma quando venne nella mia classe un ragazzo nuovo, ripetente, lo spettacolo diventò comune, si spogliava completamente per mettersi degli slip e dei calzoncini per fare atletica, aveva 18 anni, rimaneva nudo a chiacchierare con gli altri ragazzi senza nessun imbarazzo, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo, alla cosa sembrava non dare proprio peso. Un anno si andò tutti allo stadio, lì c’era lo spogliatoio con le docce, la mattina le porte dello spogliatoio erano chiuse, io tolsi le chiusure in modo che si potesse entrare subito, appena entrati cominciarono gli scherzi pesanti ma ovviamente sempre nell’atmosfera del gioco cameratesco. I miei compagni si spogliarono senza troppo spettacolo e andarono ai campi, al ritorno, dopo l’allenamento, in molti fecero la doccia nudi, alcuni evitavano di rivestirsi proprio per farsi vedere dagli altri, alcuni di quelli che tornavano nudi dalla sala docce venivano complimentati dagli altri e ridevano mentre si asciugavano. Naturalmente tutta quella, chiamiamola così, naturalezza per me era assolutamente imbarazzante, nei giorni in cui avevo le lezioni di educazione fisica andavo a scuola in tuta, non mi sono mai spogliato nello spogliatoio e non ho mai fatto la doccia con i miei compagni... ma questo è ovvio. Se al liceo il clima era questo alle medie le cose erano molto diverse. Alla fine delle medie ricordo tanta violenza sessuale quanta non ne ho mai rivista in seguito, probabilmente era proprio una conseguenza della totale immaturità dei ragazzi, si trattava spesso di imporre a un altro una umiliazione, in sostanza la dimensione dominante era la violenza per la violenza, non era il gioco come al liceo, dove in effetti di violenza non ce n’era proprio. La vita militare, un’esperienza che i ragazzi di adesso non provano più, era una cosa più complicata, temibile solo in un certo senso, c’era il nonnismo ma con molta prudenza si riusciva ad evitarlo, c’erano i nudi alle docce e tutto il resto e tra l’altro con ragazzi più grandi che erano già uomini, ma c’era anche uno strano ambiente cameratesco, dico strano perché erano cose che non ti saresti mai aspettato, con alcuni ragazzi si creavano quasi dei momenti di intesa sessuale, ma questa volta, penso, erano cose basate su una forma di tenerezza reciproca tra quanti hanno bisogno di non sentirsi soli. Scherzi sessuali ce ne erano pochi, esibizionismo sessuale se ne vedeva ma in momenti particolari, in pratica solo nelle docce. Con qualcuno si creava un ambiente più caldo, più confortevole, guai però a sbagliare l’interpretazione dei fatti, bisognava stare attentissimi a non mettersi nei guai e a non scambiare una dimensione affettiva di amicizia seria per una forma di disponibilità sessuale, un errore in questo campo non sarebbe stato perdonato facilmente. Uno era veramente un bel ragazzo, siciliano, di quelli con un sorriso franco e con denti meravigliosi, lo vedevo nudo alle docce quasi tutte le mattine e non ha mai mostrato segni di imbarazzo, cercavo di stare con lui anche in tanti altri momenti, ci fermavamo spesso a chiacchierare, cercava di darmi risposte sincere, cercava di costruire un rapporto di amicizia e io non sapevo fin dove sarebbe arrivato, si chiamava Salvatore, qualche volta mi sussurrava delle cose all’orecchio o a bassa voce con un atteggiamento di intimità, era un bravissimo ragazzo, forte e sincero, quasi ingenuo per quanto era onesto e dolce, pensavo che con lui avrei potuto passare la vita: dolce, onesto e bello, perché essere belli non è una cosa secondaria, tutto il suo nudo era meraviglioso, forte ma nello stesso tempo senza esagerazione e senza sfoggio, ero preso dal dubbio: glielo dico o non glielo dico, se gli avessi detto come stavano le cose avrei potuto realizzare il mio sogno ma avrei anche potuto distruggerlo perdendo quella forma speciale di familiarità che si era creata, allora ero proprio angosciato da questo problema, alla fine decisi che sarebbe stato meglio salvare la prudenza e non gli dissi nulla, adesso, col senno di poi e di tanti anni dopo so che ho fatto bene a non dire nulla, Salvatore ha ormai tre figli grandi, dopo il militare ci siamo rivisti più di qualche volta, quando viene a Roma viene a trovarmi, è rimasto un brav’uomo e mi piace anche oggi, non ha perso quella sua gentilezza di fondo, sembra strano ma lo amo ancora, è un uomo che mi piace, la moglie è stata fortunata. E’ proprio vero che tra il fisico e la personalità c’è un rapporto strettissimo. Ai miei tempi, per moltissimi ragazzi come m’è c’era un’altra esperienza da passare, quasi un rito di passaggio, c’erano i gruppi dell’azione cattolica, dato che le ragazze non erano troppo gradire in quegli ambienti c’erano quasi solo ragazzi e l’ambiente era dolcissimo, tutti ragazzi carucci e di buona famiglia, si poteva chiacchierare, si potevano guardare questi ragazzi da vicino, ma di sessuale nel senso stretto del termine c’era ben poco, lì doveva bastare solo la fantasia. L’università è stata una storia a parte, in effetti la ricordo poco, ragazzi interessanti non ce n’erano o solo qualche rapida meteora, qualcuno bello da vedere ma poi spariva come era arrivato, qualcuno anche bello ma con idee troppo grandi: era un po’ il tempo di quelli che si devono realizzare e che hanno deciso di rimandare la vita vera a un’altra epoca, quelle rarissime volte che si creava un minimo di comunicativa si faceva troppo presto a ricredersi, tutti, o praticamente tutti avevano una ragazza, ma non era un problema affettivo o sessuale, era semplicemente una cosa che era così perché non poteva che essere così, quei pochissimi che non avevano una ragazza facevano di tutto per far finta di averla, allora, e la cosa mi stupiva, i miei pensieri erano lontano dal sesso, pensavo a realizzare chissà che cosa, a costruire chissà quale futuro, allora avevo il mito della cultura, mi piaceva studiare, pavoneggiarmi con le cose più astruse, stavo cercando di mettere da parte la vita affettiva, di coprire la voragine del desiderio di essere amato con qualche altra cosa, con la carriera, con la cultura o con altre cose di quel genere, cominciavo lentamente a capire che per me la condizione del pari tra i pari era o cominciava ad essere impossibile, al liceo non era così, ma all’università mi rendevo conto sempre più che con gli altri non avevo nulla da spartire, all’università non c’era nessun Salvatore, c’erano tanti tipetti arrivisti e affaristi che tentavano la loro scalata ma la cosa mi interessava poco, cominciavo a pensare che avrei già allora dovuto rivolgermi verso ragazzi più giovani, non era un problema di preferenze sessuali, ma nei miei coetanei vedevo ormai atteggiamenti così lontani dai miei che non mi interessavano nemmeno sessualmente, avrei potuto fare il papà, il fratello più grande, non sarebbe stato come stare alla pari ma in qualche modo avrei avuto la possibilità di non perdere definitivamente i contatti con quei ragazzi che mi potevano interessare: allora mi piacevano molto i ragazzi dai 18 anni fino ai 22-23, è un’età meravigliosa e ricca sotto il profilo affettivo, poi tanti ragazzi si cristallizzano e solo pochi mantengono una disponibilità o sarebbe meglio dire una fame affettiva che permetta loro di conservare rapporti veri e non stereotipati. Ero affascinato dai ragazzi di quell’età, ma non c’erano reali possibilità di aggancio, allora non c’era internet, ti dovevi guardare intorno e dovevi rischiare se volevi rischiare senza la protezione dell’anonimato. Allora sognavo molto e soprattutto costruivo il mio sogno in modo sempre più strutturato, avrei voluto un ragazzo bellissmo, verissmo, onestissimo, che mi amasse veramente, anche due cuori e una capanna: pochi soldi, esattamente divisi a metà, indipendentemente da chi li avesse guadagnati, immaginavo che ognuno dei due avrebbe stretto la cinghia per arrivare a natale a fare all’altro il regalo più bello possibile, immaginavo una reciprocità totale, una intimità al limite della identificazione e della fusione fisica, desideravo che si potesse essere finalmente in due, che si potesse costituire una coppia, un sogno matrimoniale, di lì tutti i progetti sul lavoro comune, sul dirsi tutto, sul capirsi fino in fondo, sul piacere di stare insieme, in questo modo avrei potuto veramente avere un mondo ideale, ma la realtà non aveva nulla a che vedere con tutto ciò, la dimensione della solitudine avanzava giorno dopo giorno irreversibilmente. Dopo, sul lavoro, mi sentivo ormai vaccinato, in sostanza avevo già elaborato il senso della mia rinuncia, voglio dire che non mi interessava particolarmente cercare di risolvere il mio problema, avevo ormai dimostrato a me stesso il teorema di inesistenza delle soluzioni, niente amore, niente sesso, mi dicevo, ma non certo niente affettività e in effetti ho avuto una vita affettiva tutto sommato piuttosto ricca, ho avuto degli amici veri ai quali ho parlato chiaro e che non mi hanno mai messo in difficoltà, erano sempre più giovani di me e di parecchio, anche di vent’anni, mi volevano bene, avevano la loro vita affettiva e sessuale con le donne ma mi volevano bene, ero un po’ un papà, potevo non chiamarli ma alla fine sapevo che mi avrebbero richiamato, con questi amici ho sognato di avere meravigliose storie d’amore e in effetti ne ero innamorato ma sapevo benissimo che la loro presenza era compatibile solo con un legame molto elastico, se avessi cercato di stringere le cose sarebbero spariti, forse no, ma mi avrebbero tenuto comunque a distanza. Questi amici ora sono uomini grandi con famiglia e figli, credo che le mogli non abbiano mai capito fino in fondo il significato preciso del legame che c’era o meglio che c’è tra noi, in un certo senso il mio rapporto con questi ragazzi (allora erano ragazzi) è stato bello e lo è tuttora ma, se si può, mette ancora più in evidenza che il mio sogno era del tutto irrealizzabile. Io lo so benissimo, adesso il mio giovane lettore mi potrebbe dire che la vita va avanti e che prima o poi l’amore arriva (parafrasando Benni), però piano piano non hai più voglia di innamorarti, avrei bisogno di un uomo non giovane, di uno che ha vissuto le delusioni della sua vita e che vuole uno spazio per ripensarle, ma dovrebbe essere una ipotesi di reale vita comune, che se è difficile a vent’anni, a sessanta è praticamente impossibile. Se un senso può avere tutto quello che ho vissuto, o meglio sarebbe dire che non ho vissuto, credo che si debba cercarlo nell’idea di non tenersi per sé la propria esperienza, è meglio raccontarsi ai giovani, a quelli che adesso hanno vent’anni, quelli hanno bisogno di confronto o di esperienza, forse non lo sanno nemmeno loro ma ne hanno bisogno, devono cominciare a capire che la giovinezza non dura in eterno e che le scelte non possono essere continuamente rinviate, quello che mi sento di dire a questi ragazzi è che non devono rinunciare ai loro sogni e ai loro amori. Attenti all’aids per carità! Ma ricordatevi che la felicità esiste e la vita vostra può essere la felicità per qualcun’altro, sarebbe bellissimo, a me non è successo, ma l’ho sognato tutta la vita.

martedì 28 agosto 2007

STORIE GAY


STORIE GAY


Mi rivolgo ai lettori che hanno l’occasione di leggere questo blog... Certo in un blog come questo è improbabile che si capiti per caso, in genere si parte dai motori di ricerca... si cercano storie gay... ma, mi chiedo, c’è realmente qualcuno che si ferma a leggere delle storie gay vere? ... cioè delle storie che non hanno la caratteristica standard delle tipiche storie erotiche gay?... non che io abbia nulla contro quelle cose... ma mi chiedo perché la fuga dalla realtà è così spesso preferita ad un confronto con l’esperienza altrui. Io credo che la vita dei gay che leggono queste pagine abbia ben poco in comune con le storielle erotiche, io parlo della vita reale, non delle fantasie che di reale hanno ben poco... in fondo la letteratura erotica gay più corrente (non parlo della grande letteratura) ha ben poco in comune con le realtà, è solo letteratura di evasione... Perché è così difficile trovare persone che vogliano impegnarsi nello scrivere cose vere? Perché fuggire nei sogni della letteratura erotica? Voglio dire perché evitare di leggere della vera vita di moltissimi gay? ... di una vita che all’esterno di gay ha ben poco... ed ha ancora meno in comune con le tipiche storie erotiche gay. Il mondo gay è come un iceberg, ciò che si vede è non è che una minima parte delle realtà. Non si parla quasi mai in modo semplice e onesto della realtà di centinaia di migliaia di ragazzi che spenderanno la loro vita in un limbo di attese, di rinvii, di incomprensioni, di scoraggiamento, questi ragazzi non saranno mai i tipici gay eppure sono loro i veri gay... questo è un paradosso: la stragrande maggioranza dei gay non hanno nulla di tipico... Sarebbe estremamente utile raccogliere delle esperienze autentiche, renderle pubbliche, prendere la realtà per quello che è... in fondo questo blog, nel pubblicare delle storie che hanno molto di vero si ripromette proprio questo. Facciamo degli esempi concreti... che cosa può esserci nella mente di un uomo di quarant’anni che dopo essere stato sposato per quindici anni e avere avuto figli sente nascere dentro di sé sentimenti nuovi? Che cosa può nascere nella mente di un prete che ha fatto onestamente la sua scelta e si riscopre omosessuale? Che cosa può essere la scuola per un ragazzo gay? ... in fondo un luogo in cui si celebra solo un’altra specie d’amore... un luogo frustrante. Ma le varianti sono infinite: parlo dell’essere senza poter apparire, parlo del compromesso, della mezza misura, delle difficoltà oggettive e soggettive che la vera vita gay comporta, una vita per la quale il coming out è solo un’espressione, nemmeno un’ipotesi. Dovremmo abituarci a conoscere meglio la nostra realtà, soprattutto la realtà sommersa che è la grande maggioranza del mondo gay... Ci sono persone serissime che hanno costruito siti gay che ammiro ma, se posso dire una cosa, troppo spesso questi siti sono dedicati al visibile... perché in fondo parlare del sommerso che non emerge agli onori della cronaca è più difficile... c’è meno pubblico... questo è verissimo, ma senza nulla togliere ai meriti di chi ha fatto e fa informazione seria, vorrei che ci si occupasse di più del sommerso.

QUESTI LEONI 3


QUESTI LEONI 3
ROMANZO GAY 1986

CAPITOLO 3
DICHIARAZIONE D'AMORE


(I CAPITOLI SUCCESSIVI SARANNO PUBBLICATI IN QUESTO BLOG TRA POCO)


Quella frase così naturale, tanto desiderata e non sollecitata, mise Angelo in uno stato di ebbrezza sublime, la vita in attesa di una telefonata di Marco già annunciata era l’attesa della felicità. Marco rientrò a casa sereno, sentiva che Angelo avrebbe lasciato qualsiasi cosa per restare a parlare con lui un pomeriggio, era la prima volta che provava la segreta profonda certezza di non essere solo.
Angelo aveva perduto da tempo l’abitudine di sublimare, viveva il suo rapporto con Marco in modo cosciente e per questo forse pieno di ansie e di esitazioni, da un lato considerava Marco come qualcosa di sacro e dall’altro lo considerava anche nella prospettiva di una intimità più spinta, ne era insomma innamorato e la prudenza che quell’amore gli dettava gli costava sangue. Marco non si poneva proprio il problema, stava bene e basta, rifiutava di definire e di sognare, sapeva che avrebbe sempre avuto la massima libertà, avrebbe potuto telefonare ogni giorno, ma se non avesse voluto non avrebbe ricevuto telefonate. Marco pensava realmente che quell’amicizia così strana fosse solo una vera amicizia e che da parte sua almeno avrebbe potuto farne a meno se avesse voluto... ma perché avrebbe dovuto farne a meno se in fondo si stava bene così? Marco provava un vago senso di superiorità, ma non era questo che lo faceva stare bene, si sentiva al sicuro, si sentiva in presenza di una persona che lo avrebbe ascoltato per ore, che lo stimava, che era felice di stargli vicino... perché definire con parole precise queste sensazioni? Marco non aveva paura, la paura di Angelo lo interessava più dello schema del loro rapporto e anche lui sarebbe stato con Angelo senza parlare, anche lui gli voleva bene.
Angelo attese la telefonata col segreto timore che potesse non arrivare, ma la telefonata arrivò.
- Ciao!
- Ciao.
- Che fai?
- Sto parlando con te.
- Bene, bene! Senti ti vengo a trovare... va bene.
- Benissimo, dimmi quando arrivi, che cerco di mettere un po’ d’ordine.
- Arrivo subito, sto qui sotto.
- Ah!
- ... Ecco, adesso arrivo.
Angelo cercò di essere un lampo nel sistemare un po’ di cose ma Marco fu più veloce di lui.
Angelo andò ad aprire, il corridoio era stretto, non si diedero la mano ormai era una regola. Angelo si schiacciò contro il muro nel tentativo di lasciare più spazio a Marco, Marco lo notò:
- Ma guarda che ci passo... c’è uno strano odore qui dentro!
- Proprio brutto eh?
- No! Odore di vecchio, di casa vecchia...
Entrarono nel salotto-studio, un tavolo pieno di libri e di carte, un divano e due poltrone. Marco si sedette suldivano, Angelo sulla poltrona più lontana.
- Senti ma tu vivi solo?
- Sì.
- E come si sta a stare soli?
- Ci si fa l’abitudine... si sopravvive, ci sono i libri, le carte, sono cose che servono molto e poi sto bene così.
- Senti, posso aprire la finestra o ti da fastidio?
- C’è proprio un brutto odore?
- No! Però mi va di aprire la finestra...
Girò un po’ per la stanza guardando attentamente ogni cosa, poi aprì la finestra.
- E’ vero sai, che se uno vede la casa di un altro capisce tante cose... posso curiosare un po’?
- Fai pure, tanto le cose compromettenti le ho nascoste...
- Allora non c’è gusto.
- Se mi aspetti un attimo solo arrivo subito.
Angelo si avviò verso la cucina, Marco accennò a seguirlo
- Vengo pure io...
- No, ti prego, stai lì. Faccio proprio subito.
Angelo rientrò con un cabaret con sopra delle lattine di birra e dei biscotti.
- Ecco, almeno non hai visto la confusione della cucina.
- Tu ti formalizzi troppo.
- Birra o birra? Non c’è molta scelta.
- Fai tu.
Angelo aprì la lattina, versò la birra nei bicchieri, prese il suo ma non porse il bicchiere a Marco.
- Mi passi il bicchiere?
- Angelo prese l’intero cabaret e lo porse a Marco, Marco sottolineò la manovra con un sorriso di contenuto stupore.
- Senti, ma ti viene a trovare molte gente? Qui, intendo.
- Praticamente nessuno, questa è un po’ come una tana calda, va bene per nascondersi, è troppo mia.
- Ti da fastidio che sono venuto qui e pure improvvisamente?
- No, con te non mi sento a disagio, in qualche modo non ti sento una persona estranea. Mi va bene così.
- Mh! E tu dove dormi?
- Qui, nella stanza accanto.
- Me la fai vedere?
- Ma è un disastro.
- No, no, no, dai, dai, andiamo, fammela vedere.
- E va bene... ecco!
- Che strano letto!
- Ce ne è un altro sotto, per questo è così.
- Va be’, torniamo di là, però sono stato contento che non hai detto di no, vuol dire che ti fidi.
Marco andò a risedersi sul divano, ma aveva un’aria triste, come per un momento di smarrimento...
- Che c’è? C’è qualcosa che non va?
Marco non rispondeva, incrociò le dita e le fece scrocchiare, non era sereno e non riusciva a parlare.
- Marco, ma che c’è? Ho detto qualche cosa stupida? Dimmelo, ti metto in difficoltà? Vuoi che usciamo? Che andiamo da qualche parte? Vuoi stare solo? Dimmi che c’è...
- No, non voglio niente, sto bene così.
- Non mi mettere in difficoltà, ti prego, parla.
- Non ci riesco.
Poi si alzò, si girò verso la finestra, tirò fuori un fazzolettino di carta e si asciugò gli occhi, quindi tornò a sedersi sul divano.
- Non ci fare caso, è un momento, poi passa.
- Che c’è Marco?
- Niente, non lo so neanch’io.
- Marco, ma tu stai a disagio?
- Macché, non ti fare problemi, ché proprio non è il caso.
- Se posso fare qualche cosa, qualsiasi cosa, dimmelo.
Un’altra lacrima venne fuori dagli occhi di Marco, l’asciugò con la mano.
Angelo si sentiva sconvolto e restava inchiodato alla poltrona. Rimase in silenzio assoluto, temeva quasi di respirare. Poi Marco riprese.
- Dai, non stare zitto, adesso dimmi che cosa hai pensato.
- Ti posso dire che mi sento tremare, sono pochi quelli che riescono a piangere, sono felice che tu ti senta libero fino al punto di piangere davanti a me, può sembrare assurdo, ma sono felice che ci sei. Non so dire altro, mi sento pure io molto fuori fase.
Angelo avrebbe voluto chiedere molte cose ma non lo fece e Marco gliene fu grato.
- Si sta bene qui, non ci sono rumori, sembra quasi di non stare in città, c’è tanto silenzio. Senti, mi regali un libro... quello che vuoi tu.
- Scegli tu quello che vuoi.
- Se lo scelgo io parla di me, ma se lo scegli tu parla di te.
- Hai ragione. Ti piace Pavase?
- Le poesie molto, i romanzi li conosco poco.
- Allora leggi questo: “La spiaggia”, piccolo ma a me piace molto.
- Ma tu sei figlio unico?
- No, ho un fratello che ha dieci anni più di me e lavora a Milano e ha due bambine, quindi sono pure zio, uno zio paperino... un po’ da fumetti, però nel complesso...
- Senti ma tu stai solo perché lo vuoi tu? ... cioè, c’hai mai pensato che potresti non stare solo?
- Sì, ma tra i sogni e le realtà c’è differenza.
- Cioè?
- Cioè non bisogna proiettarsi troppo lontano, ché poi ci si resta malissimo...
- Ma a te ti è mai capitato?
- ... No... delusioni vere non ne ho mai avute... basta essere prudenti prima... senti ti posso chiedere una cosa?
- Dai!
- Ma tu al futuro ci pensi mai?
- Il futuro? ... E tu ci pensi?
- No, penso solo che se tutto andrà nel migliore dei modi dopo sarà come adesso, per me non cambierà niente.
- Ma tu vorresti che cambiasse qualche cosa?
- Non lo so, certe volte penso che sto bene così e che le cose che ho, cioè anche le sensazioni, i sentimenti che provo sono belli e non credo che ci sia veramente molte gente che sta veramente meglio di me, è vero che qualche volta mi sento solo, ma mi capita solo quando mi fermo a pensare troppo, a sognare...
- Ma a sognare che cosa?
- Mah! Che vuoi sognare! Devi stare coi piedi per terra, non c’è molta scelta, è così e basta.
- Ma quando eri più giovane eri così lo stesso?
- Forse pure più intransigente, meno capace di rischiare, con tante paure in più.
- Ma paura di che?
- Mah! Paura della gente, paura di restarci male, di perdere la faccia, la rispettabilità esterna... non si tratta di paura fisica ma di abitudine a evitare, a mettere da parte, a trascurare le cose che invece mi piacerebbero veramente.
- Senti, ma tu di me che pensi?
- Pensare vuol dire anche ragionare su dati di fatto, per quello che ti conosco posso parlare più di impressioni... anzi una cosa mi è venuta in mente ieri: se non fossi me stesso mi piacerebbe essere Marco... io non so come sei veramente però vorrei essere Marco.
- E perché?
- Perché mi sembra che sia così, vedi, io non ragiono per categorie ma per sensazioni... mi piacerebbe essere come sei tu...
- Bene, è una cosa bella sentirselo dire... senti, usciamo un po’?
- Un attimo che prendo la giacca.
- No, stiamo qui!
- Ma vuoi stare o vuoi andare?
- Restiamo qui, dai! Ce l’hai una sigaretta?
- No, non fumo.
- Scendiamo un attimo a comprarle?
- No, dai, evita di fumare, ché ti fa male.
- E che vuoi che sia una sigaretta?
- Se non è niente fanne a meno.
- Va be’.
Per un attimo gli sguardi di Marco e di Angelo si incontrarono, Angelo girò lo sguardo altrove, Marco rimase a fissarlo.
- Be’? Che c’è? Mi guardi come un fenomeno da baraccone.
- Vorrei capire alcune cose che non riesco a capire fino in fondo.
- Cioè?
- Certe volte penso che in qualche modo mi somigli, le cose che dici mi interessano e certe volte le penso anch’io, però tu parli poco...
- Ah! Io parlo poco! Tu fai solo domande e non parli mai!
- Perché? Ti dispiace?
- No, però se c’è uno che parla poco non sono io.
- Va be’, allora prova tu a chiedere e io ti rispondo.
- Mo’ mi metti nei pasticci.
- Ma c’è qualche cosa che vorresti sapere?
- Sì!
- E allora dai, forza... dai, dillo che t’ho messo colle spalle al muro!
- Ma guarda questo...!
- Adesso devi chiedere.
Angelo avrebbe voluto chiedere il perché delle lacrime ma non lo fece.
- Sono contento che ti vedo così e che hai cambiato umore.
- Zitto! Cambia discorso, dai, fammi qualche domanda.
- Come le passi le giornate?
- Allora... la mattina a scuola, il pomeriggio in giro.
Angelo avrebbe voluto chiedere con chi ma si limitò a chiedere:
- Dove?
- All’Eur, al centro, a viale Marconi, alla Magliana.
- E a fare che?
- Niente, a girare a guardare in faccia la gente... senti adesso mi viene in mente una cosa : ma tu ti sei mai innamorato?
- Mh! Bisogna vedere che cosa significa questa espressione.
- E per te che cosa significa?
- Mah! Non lo so... senti ma perché devo parlare solo io? Parla un po’ tu!
- Per me significa stare bene, sentirsi bene, senza problemi, magari sentire che non si è soli...

Mentre Marco faceva questi discorsi cominciava a intuire che quel ragionamento applicato a lui portava a una strana conclusione e cercò di evitarlo

- ...però non dovrebbe essere questo, uno dovrebbe essere felice...

Avrebbe voluto parlare dell’amore verso una ragazza ma sentì che il discorso era fuori posto. Si sentì improvvisamente a disagio, inquadrò istantaneamente se stesso in una situazione che non gli piaceva.
- Senti, io adesso devo andare via.
Quando ebbe finito di pronunciare queste parole si pentì di averle dette e si corresse:
- Mi accompagni?
- Prendo la giacca,... dove andiamo?
- Devo andare verso l’Eur col 97.
Trascorsero alcuni secondi di imbarazzo.
- Ricordati il libro!
- Ce l’ho in tasca.
- Ma lo leggerai?
- Credo di sì, ma non mi mettere fretta.
- E come ti era venuta l’idea di leggere le poesie di Pavese?
- Mah! E’ una cosa stupida, il prof. di italiano ne ha parlato un po’ in modo strano e allora mi è venuta la curiosità... però sono cose molto belle, ti lasciano proprio una sensazione addosso.
- Lo so... e poi Pavese è anche utilissimo...
- Cioè? Utile a che cosa?
- A continuare a parlare anche quando uno non sa che dire.
- Però! Eh! Non ti sfugge niente!
- Beh, uno certe sensazioni se le sente addosso.
- Dai, dai, lasciamo perdere questi discorsi.
- E allora è meglio che ci stiamo zitti!
- Ah! Questi Leoni! Senti, ce l’hai la tessera?
- Sì...
- Senti, se no, andiamo a piedi.
- Benissimo... però guarda che se vuoi posso pure tornare indietro, va bene lo stesso.
- Questa non mi è piaciuta, a me questi discorsi qui non mi piacciono proprio! Guarda che io parlo chiaro!... Beh! Adesso non stare zitto e non mettere il muso... Senti ma tu te lo sei chiesto perché mi sono lasciato andare prima?
- Quando?
- Hai capito benissimo.
- Se tu ne volessi parlare ne parleresti senza bisogno di una domanda specifica e poi queste cose sono tue...
- Non te ne frega proprio niente eh?
- Guarda che le cose stanno in tutt’altro modo.
- E cioè come?
- Ma perché vuoi tutte queste spiegazioni?
- Ma il mio comportamento ti pare assurdo?
- No, non mi pare assurdo... ma mi spieghi perché mi stai trattando in questo modo?
- ... perché per me è importante vedere come ragioni. Un altro a quest’ora mi avrebbe già mandato a quel paese e tu non lo fai... senti, io sono venuto da te perché mi veniva da piangere e non sapevo dove sbattere la testa e mi ha dato fastidio che oggi pomeriggio sono stato bene, hai capito? Mi hai fatto da droga e a me non piace dipendere da nessuno, però io sono stato bene, hai capito?
- Pure io sto bene, accidenti, sono contento, non me lo aspettavo. Sei grande Marco! Sei grande! Non te lo dico per dire, accidenti, è un pomeriggio meraviglioso... mi dispiace che hai da fare perché mi piacerebbe restare a parlare.
- Ma quello che dici è vero?
- E’ addirittura troppo vero!
- Io non devo andare da nessuna parte, ma tu c’hai da fare?
- Guarda che qualunque cosa dovessi fare la lascerei perdere, adesso ci sto e ci voglio restare.
- Va be’ e forse non c’è proprio bisogno di parlare di niente.
- A me mi sta benissimo pure così.
- La senti la primavera?
- C’è questo venticello e l’erba verde verde, e poi dicono che Roma è brutta!
- Ci sediamo sull’erba?
- Ma non è meglio sulla panchina?
- ... niente, non si lascia mica convincere... va be’... ci sediamo sulla panchina, però non come fai tu... sulla spalliera.
- Marco ma lo sai che sono contento veramente?
- Zitto! Ma tu devi sempre chiacchierare?
- Va be’, cambiamo discorso, però intanto l’ho detto.
Nei pressi c’erano coppiette in atteggiamenti affettuosi, entrambi notarono quella presenza, ma entrambi continuavano a parlare d’altro come se intorno a loro ci fosse stata solo l’aria della primavera.
- Beh?... Sei stanco?
- No.
- Senti, quando avevi la mia età che facevi?
- Ma te l’ho detto.
- Va be’, ripeti!
- Dai, te l’ho detto... e poi hai capito benissimo.
- Benissimo proprio no!
- E tu perché non mi parli di te?
- Perché non c’è niente da dire, è tutto molto banale.
- A me non mi sembra proprio.
- Cioè?
- Adesso non cambiare discorso, sei tu che devi parlare.
- ... ma a me di parlare non mi va, non te la prendere, non mi va e basta... mica è per te... è che proprio è una cosa... no...
- Perché sei venuto a trovarmi oggi?
- Così, per parlare, per stare un po’ insieme... e poi senti, io sono fatto così, non mi piace stare a pensare troppo. Senti, ce ne andiamo di qua, questo posto non mi pace, mi mette tristezza.
Si alzarono e presero un vialetto verso il palazzo dello sport, Angelo restava in silenzio, Marco era teso. Non dissero parola per lunghi minuti, poi Marco riprese:
- Senti, parla tu, io proprio non ci riesco.
- Io vorrei che tu fossi felice, non so che dire quando ti vedo così, vorrei solo che non succedesse... se sono invadente o la mia presenza ti dà fastidio, dimmelo, mi metti addosso una strana malinconia quando stai così.
- Mi dispiace...
- Ma di che? del fatto che riesco a partecipare un po’? Mi sento al di fuori però mica tanto, non è una stupidaggine, mi dispiace veramente vederti così... però in qualche modo, adesso scusa l’espressione, sono pure contento... cioè sono contento che tu riesca ad essere libero già fino a questo punto... è un livello di profondità.
- Senti, ma ti dà fastidio che non parlo di me?
- Ci sono tanti modi per parlare di te...
- Mh!...
- E poi che ti credi che io parlo veramente di me?
- Cioè?
- Cioè io parlo del personaggio esterno, il resto è lontano dal livello della conversazione... cioè io devo offrire una immagine, una maschera, faccio così pure con te...
- Questo l’avevo capito, ma a me sta bene anche così, anzi forse è pure meglio e poi le parole e le spiegazioni non servono a niente... cioè questo non è un fingere, è tutta un’altra cosa... va bene così. O no?
- E’ vero! Però mi dici adesso come stai?
- Mh, così... però non sto male...
- Marco senti...
- Che c’è?
- Volevo dire una cosa.
- E cioè?
- Cioè che mi dispiace che finisce il pomeriggio e devi andare via, perché io sto un po’ sulle spine però sto proprio bene.
- Ma tu perché mi dici queste cose?
- Non mi fare troppe domande.
- Comunque grazie pure io sto bene però ho paura di stare bene, mi sento un po’ strano... Mi trovo fuori dalle regole e mi fa uno strano effetto, è questo che mi lascia perplesso, e anche il fatto che non voglio capire oltre non me lo aspettavo... cioè credevo che avresti reagito in modo molto diverso.
- Lo vedo e ti posso dire che la reazione è ovvia, capita pure a me... cioè no, non è così, io vorrei solo non fare danni, è questo che mi preoccupa.
- Cioè?
- Cioè la mia presenza può lasciare una qualche traccia e siccome non è del tutto neutra, qualche volta vorrei evitare di lasciarle.
- Non ti fare problemi che non è il caso... Senti ma tu hai fatto il militare?
- No, sono stato congedato per esuberanza di contingente, in un certo senso è stata una fortuna perché avrei potuto trovarmi malissimo... però adesso magari, a distanza di qualche anno, mi pare che non è stata poi tanto una fortuna, ho perso l’occasione di fare un po’ di esperienza e adesso mi manca, se potessi, anzi, meglio, se dovessi andarci adesso, ci andrei e penso pure che non ci starei male.
- Ma perché allora pensavi che ti saresti trovato male?
- Tu di gente giovane ne conosci un po’, credi che ci starei tanto bene insieme?
- Beh, dipende, per certe cose non ti ci vedo proprio, però credo che avresti un modo tutto tuo per fare presa.
- Cioè?
- Non lo so... però con te ci si sta bene... senti ma tu ci vai in chiesa?
- No.
- Perché?
- Non mi sembra una cosa vera, almeno per me, mi viene in mente che è la cosa più superflua che esiste al mondo.
- Io fino a qualche tempo fa ci andavo, adesso ancora qualche volta ci vado però non la sento una cosa mia... cioè mi piace leggere la Bibbia anche se certe volte è molto strana e poi quando leggo i vangeli mi vengono tante cose per la testa... penso che tutto quello che dice la chiesa non ha nulla a che vedere con quello che dice il Vangelo che pure certe volte è molto ambiguo.
- A me piace soprattutto il vangelo di Matteo, quello di Giovanni proprio non lo sopporto, è gnosticismo bello e buono, un arzigogolo... preferisco Epicuro.
- Accidenti, è bellissimo, quando ho letto le lettere mi è piaciuto tantissimo, è di una umanità che ti sconvolge.
- ... Non c’è età per filosofare perché non si mai troppo giovani o troppo vecchi per essere felici... e poi tutto il discorso sulla morte che per noi non è nulla...
- Però la gente quando sente parlare di Epicuro pensa ad altro...
- Sì ma la gente che deve capire? E pure certo Orazio... è un epicureismo così equilibrato e sereno...
- Sai che sono contento che ti piaccia Epicuro.
- Perché?
- A me piace proprio tantissimo, però non a livello scuola, interpretato e capito come piace a me, ti dà il senso della misura, dell’equilibrio...
- Però pure quell’equilibrio in fondo non esiste, cioè non ti puoi staccare dai tuoi desideri più profondi, dalle cose è facile, ma dalle idee, dai preconcetti, dalle speranze che ti porti dentro è difficile.
- Mi fai un esempio?
- Che ti posso dire... è difficile cambiare i propri concetti di bene e di male, è difficile sentirsi liberi veramente, è difficile che la coscienza non abbia una via di scampo molto semplice e ovvia, anche quando parte per provare cose molto difficili.
- Senti e per te il male che cosa è?
- Penso che non c’è regola a priori, uno il male o il bene non lo deve giudicare da sé, ma su quello che provoca nell’altra persona, non è la volontà di fare il bene che produce il bene, certe volte uno fa qualche cosa che gli pare bene e che poi fa malissimo a chi la riceve, allora quello ha fatto una cattiveria senza capirlo, perciò è importantissimo che si faccia quello che l’altro intende come bene, altrimenti si può fare malissimo senza accorgersene e con la falsa coscienza di avere pure agito bene... perciò bisognerebbe innanzitutto conoscersi molto bene.
- Sì però ci sono tanti modi di conoscersi, cioè non c’è bisogno di troppe parole, certe volte ci si capisce al volo... o no?
- ... Spero di sì!
Il pomeriggio si concluse con una lunga passeggiata fino all’ultimo autobus, Angelo rientrò a casa subito, per le scale sentì squillare il telefono, andò correndo ma non fece a tempo a rispondere, ci rimase malissimo, ma dopo dieci minuti il telefono squillò di nuovo.
- Pronto.
- Ciao! C’hai da fare?
- No.
- Che stavi facendo?
- Mi ero sdraiato un po’ sul letto e stavo pensando.
- Che stavi pensando?
- Sostanzialmente che sto bene così e che adesso come adesso non credo ci sia gente più felice di me.
- Eh! Non esagerare.
- Non esagero, io mi sento così.
- Ma tu la sera vedi la televisione?
- Se ci sono cose che mi piacciono molto, sì.
- Senti, ce l’hai una Bibbia a portata?
- No, ma me la posso procurare in dieci secondi... fatto!
- Prendi Matteo 17.47... ecco tua madre e i tuoi fratelli...
Parlarono per due ore leggendo brani di Vangelo e discutendo dell’essenza della vita umana. Poi Marco disse.
- Senti, adesso chiudi la Bibbia, aspetta dieci secondi e dimmi che cosa stai pensando...
- ... Sto pensando che ti vorrei chiedere come stai.
- Tutto bene, però ne parliamo un’altra volta.
- Perché?... ho detto qualche cosa che non va?
- Adesso non potrei essere spontaneo, qui c’è gente.
- Va be’, non ti preoccupare, sta’ bene, ci sentiamo un’altra volta.
- Grazie, stai bene pure tu e buona notte.
- Ciao!


I rumori e le voci che provenivano dalla stanza di Marco convinsero Angelo che la telefonata era stata interrotta per cause esterne. Il bilancio di quella giornata era fantastico. Angelo andò a dormire così e si addormentò subito, Marco rimase distratto dalla solita atmosfera familiare, più tardi quando andò a letto si girò verso la finestra donde traspariva qualche riga di luce e rimase a guardare e a pensare. Un altro forse si sarebbe chiesto molte cose sul conto di Angelo, Marco cercò di passare in rassegna i momenti e le frasi più importanti di quella serata, trovava in Angelo per la prima volta una persona capace di vivere in un modo autonomo, Marco già da un po’ di tempo cercava di fare lo stesso. In qualche modo il progetto di vita di Angelo lo interessava come lo interessava quel dialogo così rispettoso e così assurdamente vero. Marco rifletteva, ma al fondo di questa riflessione c’era una speranza.
Quando si è soli si ha sempre torto, quando si è in due comincia la ragione e, in fondo, perché lui e Angelo dovevano tenersi alle loro radici?

Erano loro le radici!