giovedì 27 settembre 2007

ANDY STORIA DI DUE RAGAZZI GAY

La serata era fresca, quasi fredda, Marco, con quel po’ di inglese che sapeva, aveva ascoltato i notiziari della BBC in internet per parecchio tempo, ed era rimasto colpito dal fatto che Bush parlasse apertamente di destabilizzare il governo di Saddam Hussein, in sostanza, gli sembrava che la guerra al terrorismo dichiarata da dopo l’11 settembre 2001 si stesse trasformando in qualcosa di diverso e di incontrollabile, Bertinotti aveva difeso i Palestinesi, ma proprio al congresso di Rifondazione si era difeso da accuse di antisemitismo arrivate dalla stampa gridando dal palco: noi siamo ebrei! … aveva aggiunto anche: siamo negri, siamo omosessuali. La cosa nel complesso aveva assai colpito Marco; negli ultimi giorni gli avvenimenti tragici della Palestina avevano occupato la sua mente e lo avevano allontanato dai suoi problemi personali, dalla necessità di studiare, dalla sensazione di solitudine e da tutto il corteo di sentimenti che si portava appresso ormai da anni.
Marco aveva 23 anni e ne avrebbe compiuti 24 in Agosto, aveva preso la maturità tecnica di perito meccanico a 19 anni, quasi venti, nel 1998, non andava particolarmente bene nelle materie tecniche e la meccanica e la matematica erano state un po’ la sua croce, aveva sempre sostenuto di avere sbagliato tipo di scuola, amava la lettura molto di più dei ragazzi della sua età e aveva acquisito un modo di esprimersi decisamente corretto, qualche volta anche ricercato, sulla scia di tutto questo si era iscritto a giurisprudenza e i suoi lo avevano lasciato fare, anche perché, date le esperienze della scuola, ritenevano, senza dirlo esplicitamente, che non fosse in grado di andare a ingegneria. A novembre del ‘98, e quindi a 20 anni compiuti, aveva cominciato a frequentare le lezioni del primo anno, in teoria avrebbe potuto laurearsi nel giugno del 2002, ma le cose erano andate in tutt’altra direzione. Marco era un ragazzo sveglio e di buone capacità ma la sua cultura umanistica era sostanzialmente quella di un autodidatta, non aveva un retroterra culturale adeguato alla facoltà di giurisprudenza, non capiva nulla di latino, non aveva la più pallida idea della storia romana, non gli mancava un qualche interesse per la filosofia ma di tipo estemporaneo ed era comunque privo di quelle basi tipicamente scolastiche che sono il fondamento dello studio universitario, dei 22 esami previsti dal suo corso di laurea ne aveva superati solo quattro e con votazioni basse, piano piano aveva lasciato passare il tempo senza troppo impegno e con la convinzione o, se vogliamo, con il timore piuttosto ben radicato che non sarebbe arrivato da nessuna parte.
Era figlio unico, i suoi, a casa, gli volevano bene, cercavano di sostenerlo in tutti i modi ma non avevano i mezzi economici per permettergli di frequentare quei miracolosi corsi di preparazione agli esami universitari tanto pubblicizzati sulla stampa e in TV, né avevano le capacità culturali per seguirlo e per indirizzarlo; avevano visto svanire giorno dopo giorno il sogno di avere un figlio laureato ma la cosa per loro aveva un peso molto relativo perché se Marco si fosse laureato sarebbe stato il primo e l’unico della sua famiglia a giungere a quel traguardo, ma ormai i genitori di Marco erano portati a credere che non avrebbe nemmeno trovato facilmente un lavoro da perito, anche perché con i suoi voti di maturità si poteva fare ben poco, tuttavia avevano evitato scrupolosamente di metterlo in crisi con discorsi troppo diretti e si aspettavano che Marco prima o poi capisse da sé, o forse continuavano a sperare che qualcosa potesse ancora succedere, anche se Marco si avviava ormai ai 24 anni e aveva fatto in sostanza un esame all’anno.
Marco era gay, i suoi genitori lo sapevano e l’avevano accettato, non senza qualche perplessità iniziale che tuttavia il figlio aveva potuto solo intuire perché avevano fatto di tutto per tenere per sé i propri dubbi e le proprie difficoltà; Marco si sentiva riconoscente per questo, a casa sua non aveva dovuto fingere, ma ancora a 23 anni non aveva mai provato che cosa potesse significare un amore ricambiato, per lui l’omosessualità era soprattutto un problema sessuale, non un problema affettivo, o almeno Marco si sforzava di vederla così, in questo modo la sua solitudine si riduceva ad una astinenza sessuale, o meglio ad una astinenza da rapporti sessuali a due, ma non sembrava coinvolgere la sfera affettiva profonda o quella delle prospettive a più lunga scadenza. Marco aveva l’affetto dei genitori e questo contribuiva a farlo sentire meno solo ma nonostante tutto, specialmente nelle lunghissime domeniche di primavera, cominciava a provare la necessità urgente di conoscere altri ragazzi, di non sprecare la sua vita in attese sterili e di provare a cercare dei contatti affettivi suoi, veri, forti, di questo però aveva anche paura, non aveva mai frequentato ambienti gay di nessun genere e tra i ragazzi che aveva conosciuto a scuola o all’università solo pochissimi lo avevano interessato, gli altri gli sembravano proprio di un altro pianeta, ma anche con quei pochissimi Marco non aveva mai avuto nessun contatto affettivo forte e meno che mai reciproco, aveva alcuni amici che sapevano che era gay e che avevano continuato a frequentarlo anche se in modo piuttosto sporadico, almeno non avevano tagliato i ponti, questo a Marco aveva fatto piacere ma quelle amicizie non comportavano una reciprocità vera come quella che Marco desiderava ma non osava nemmeno sperare.
Marco non aveva piena coscienza della sua solitudine, la percepiva ma la confondeva con altri sentimenti, con la frustrazione per l’università, con le scarse prospettive di lavoro e di indipendenza economica, ma forse non si rendeva ancora conto pienamente che la sua era una solitudine di tipo molto particolare, nel profondo della sua mente Marco percepiva che per lui la felicità legata al sesso non ci sarebbe mai stata, e per questo evitava di sognarla, cercava di accettare questa situazione come se fosse la cosa più ovvia del mondo, mettendola semplicemente da parte perché tanto non ci si poteva fare nulla, ma tutto questo lavorava inesorabilmente nel profondo.
Fino a ventuno o ventidue anni era stato molto socievole, pronto a scherzare e a ridere di tutto, poi, piano piano, la frustrazione aveva cominciato a radicarsi stabilmente dentro di lui, cercava di essere allegro a casa per non preoccupare i suoi, ma non aveva alcuna via di sfogo, le sue malinconie, erano tutte sue, non ne parlava con gli amici, che in fondo le avrebbero ascoltate ma senza partecipazione come Marco ascoltava qualche volta le loro storie d’amore, e non ne voleva parlare in famiglia, è vero che i suoi avevano accettato di avere un figlio gay e gli volevano bene ma parlare con loro delle sue malinconie, dei suoi desideri e delle sue fantasie gli sembrava improponibile e poi Marco si sentiva ormai grande e almeno in quelle cose voleva non dipendere da nessuno.
I suoi si erano accorti di questi stati di disagio e avevano cercato di alleviarli spingendo Marco ad allontanarsi da casa e a vivere per conto proprio, avevano un secondo appartamento sfitto da due anni e Marco ci andò a vivere da solo, gli comprarono un computer, il migliore che si potevano permettere, Marco si collegò a internet, la casa nella quale viveva da solo gli consentiva di trovare qualche momento di evasione cercando delle immagini di nudo e di sesso in rete, all’inizio tutto questo fu per Marco una vera scoperta, ma queste cose avevano ben poco a che vedere con la vita reale e Marco continuava a tornare sempre a casa dei suoi ogni volta che era possibile, apparentemente per evitare di cucinare e di fare la spesa, ma sostanzialmente per non stare solo. Il sesso su internet aveva la funzione di uno sfogo ma sotto il profilo affettivo faceva sentire ancora di più a Marco la sua solitudine, di siti porno cominciava ad essere stufo mentre il sorriso di un ragazzo incontrato per strada lo faceva trasalire.
Alle otto e mezza rientrò nella sua casa vuota, quella che lui chiamava la piccionaia perché era all’ultimo piano, l’ottavo, di un palazzone anni ’60, si tolse le scarpe e si mise le pantofole, ne ebbe un certo sollievo, pensò di accendere il computer ma lo aveva tenuto acceso tutto il pomeriggio e non ne poteva più, accese la televisione, vide la manifestazioni di folla nei paesi arabi per la pace in Palestina, sentì del risorgere dell’antisemitismo, delle sinagoghe incendiate in Francia, delle manifestazioni antiisraeliane, del blocco della chiesa della natività a Betlemme. Tutte queste cose lo coinvolsero profondamente e rimase ad ascoltare, ma alla fine del telegiornale non seppe che fare, chiamò casa.
- Ciao mamma, che fate di bello?
- Niente, tutto come al solito, ma tu come stai? Oggi non ti sei fatto sentire…
- Lo so… ma se vengo adesso?
- Vieni, bello, noi ti aspettiamo, ma hai mangiato?
- No, veramente no.
- Allora vieni che c’è una lasagna buona che l’ha fatta papà, noi non abbiamo ancora mangiato, vieni che ceniamo insieme.
- Va be’, allora arrivo tra una mezz’oretta.

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