mercoledì 26 dicembre 2007

COMING OUT - CORAGGIO O INCOSCIENZA

So di dire cose strane e impopolari, ma vengono dall’esperienza di quanti il coming out l’hanno fatto e si sono resi conto solo dopo del disastro che hanno fatto. Il vivacchiare certe volte è meglio dell’illudersi di essere amati per come si è. Aggiungo che non è una questione di modi e di tempi. Non illudetevi che trovando le parole magiche e il momento giusto potrete risolvere il problema. Non pensate che il vostro bisogno di sentirvi amati per quello che siete troverà dall’altra parte una risposta come quelle che potete desiderare. Cercate di capire che con il dichiararvi gay in famiglia rischiate di mettere in crisi del tutto i rapporti con i vostri genitori che, con ogni probabilità, non vi cacceranno di casa a calci ma cambieranno insensibilmente atteggiamento nei vostri confronti. E adesso dico la mia su un’altra cosa... a che serve il coming out? ... e quello in famiglia in particolare? Ai miei tempo, 40 anni fa, ... il coming out era un’idea inconcepibile. Alla dichiarazione pubblica di omosessualità arrivavano solo quelli che erano già sulla bocca di tutti per i loro comportamenti ed erano rarissime eccezioni. Oggi del coming out se ne parla molto, e in particolare di quello familiare, ma nella realtà è decisamente una cosa molto rara e problematica. E fatemi dire un’altra cosa... voi, in effetti, tra i ragazzi gay, rappresentate un po’ un’eccezione. Questo blog ha ricevuto decine di migliaia di visite delle quali la grande maggioranza con ogni probabilità di ragazzi gay, ma i ragazzi che commentano questo blog non arrivano nemmeno a 20... La stragrande maggioranza dei ragazzi gay che legge questo blog non avrebbe mai la faccia di commentarlo o di contattarci. Quei ragazzi che sono la stragrande maggioranza dei gay, non prenderanno mai seriamente in considerazione l’idea del coming out familiare e, ci tengo a dirlo, se commentare un blog come questo crea resistenze notevolissime anche se non c’è nulla di pericoloso, dire ai propri genitori “io sono gay” può comportare la compromissione completa dei rapporti familiari. Chi non si dichiara non è vile, non è uno che si nasconde, è uno che ha i piedi per terra e vede le conseguenze concrete del suo gesto anche a distanza di anni. Adesso faccio una distinzione, una delle mie discutibilissime distinzioni. Se per un ragazzo gay economicamente autonomo, che ha un ragazzo e che vive con quel ragazzo un rapporto stabile che ha tutte le premesse necessarie per diventare “il” rapporto affettivo fondamentale, il coming out familiare può avere un senso perché se l’esito è positivo il rapporto di coppia ne esce valorizzato così come quello con i genitori, e se l’esito è negativo la possibilità di “cambiare aria” c’è veramente perché c’è l’indipendenza economica, per un ragazzo che non ha una indipendenza economica e non ha una relazione affettiva credibile e stabile il discorso è completamente diverso: in caso di esito positivo si guadagnerebbe un po’ di chiarezza, ma in caso di esito negativo, la forzata convivenza in ambiente familiare diventerebbe molto problematica, in pratica, e ne ho visti parecchi esempi, per un ragazzo gay rifiutato dai genitori, continuare a vivere in casa è come stare in galera. Io stesso non ho mai fatto un coming out familiare non tanto perché avrei avuto qualcosa da perdere in caso di esito negativo, perché ho avuto una mia autonomia economica da quando ero molto giovane e ho vissuto da solo per molti anni, ma perché avrei procurato ai miei genitori un momento di agitazione in più, senza in pratica nessun risultato concreto né per me né per loro. Provare a tenere una corda sottile sotto la massima tensione è un bell’esperimento, se la corda resiste c’è il piacere di sapere che resiste, ma se non resiste e si spezza, tutto quello che a quella corda era legato si perde per sempre. Certo... vivere è meglio che vivacchiare, ma vivacchiare e sempre meglio che finire in un isolamento sostanziale. Quanto poi al fatto che i figli gay debbano giustificare i genitori che non li capiscono, francamente mi sembra un paradosso che viene da ragionamenti moto teorici. Io sono vecchio ma sono convinto che se la stupidità dei figli può essere perdonabile, quella dei genitori lo è molto meno... Un genitore che rifiuta un figlio gay non è giustificabile, non è degno di avere un figlio, perché non lo merita. Non sono di natura perdonista e buonista, se un figlio butta via la sua vita e si comporta da cretino bisogna dirglielo a brutto muso, ma non credo proprio che un figlio gay trattato dai genitori in modo ipocrita possa perdonare i genitori, finirà per essere ipocrita anche lui verso di loro, per trattarli in modo falsamente cordiale e sostanzialmente per covare un risentimento profondo verso di loro. La maggior parte dei gay adulti che conosco non è dichiarata e ha mantenuto un rapporto relativamente serio con la famiglia di origine, quelli che si sono dichiarati in famiglia, in genere ragazzi al massimo di 30/35 anni, ormai non hanno più nessun rapporto con le famiglie d’origine e, se qualche rapporto c’è, è dovuto non all’affetto, che senza accettazione non può esistere, ma al fatto che sia i genitori che i figli sentono l’obbligo, ed è un obbligo gravoso e non spontaneo, di non abbandonarsi reciprocamente. So bene che quello che ho scritto non è da manuale, che sembra che io preferisca le mezze misure e forse è proprio così, ma fare una scelta di tipo emotivo, senza la possibilità concreta di cambiare aria se le cose si mettono male, in termini molto elementari senza una autonomia economica sulla quale contare, significa condannarsi, in caso di esito non soddisfacente a vivere situazioni di disagio pesante in cui il vivacchiare precedente sembrerà una stato di beatitudine ormai perduto per sempre.

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