martedì 8 gennaio 2008

VADOVANZA GAY

No, io non sono andato, tanto lui non c’era più, c’è stato fino alle 23.45 di sabato, e forse non c’era più neanche allora. Quando è successo io non c’ero, in pratica sono stato con lui finché è stato cosciente. Venerdì sera è stato peggio, m’ha detto: chiama l’ambulanza. Quando sono venuti ancora era cosciente, ha parlato col dottore, gli ha dato la carta dove aveva scritto tutto, l’aveva preparata da parecchi giorni, perché se la sentiva che non sarebbe durato, l’hanno portato direttamente in rianimazione, ma già in ambulanza aveva perso conoscenza. A me in rianimazione non mi hanno fatto entrare, poi hanno chiamato i parenti, la sorella, il cognato e i nipoti perché il dottore della rianimazione pensava che fosse cosa di poco e io me ne sono andato per non fare storie, ma non le avrebbero fatte nemmeno. Sono andato alla cappella dell’ospedale ma era chiusa e mi sono seduto di fuori e ho pregato, io che non l’ho mai fatto in vita mia, ho pregato che il Padre Eterno se lo prendesse senza farlo soffrire troppo. La notte l’ho passata là che pure io, sai, sono vecchio, comunque l’ho passata là. I parenti verso l’una se ne sono andati, io l’ho chiesto per piacere e me l’hanno fatto vedere dietro il vetro. Madonna mia, mi faceva una malinconia che lui stava là e io stavo dall’altra parte, non gli potevo neanche toccare la mano, era attaccato alle macchine, è passato il medico gli ho fatto cenno con gli occhi per chiedere come stava e m’ha detto che avevano provato tutto ma non reagiva e con una patologia come la sua c’era poco da sperare. Sono stato là tutto il tempo desiderando che morisse e che finisse di penare. Verso le tre e mezza pareva che morisse, così hanno detto. Sono andati i medici di corsa, sono stati un’oretta e la crisi l’ha superata. La mattina mi sono allontanato perché sono venuti i parenti però non gliel’hanno fatto vedere e se ne sono riandati e non sono tornati più. Io ho aspettato là fuori. Quando sono state le undici c’è stato di nuovo tutto l’andirivieni dei medici. Sono usciti qualche minuto prima di mezzanotte e m’hanno detto che non ce l’aveva fatta e m’è pigliato uno sconforto, una disperazione che mi sono messo a piangere come un disperato, poi un dottore m’ha chiesto se ero un parente e gli ho detto di sì, e che dovevo dire, m’ha fatto le condoglianze e se n’è andato. M’hanno detto che l’avrebbero portato all’obitorio la mattina alla sei e che l’avrei visto lì già composto era passata da poco mezzanotte e sono tornato a casa. Come non ci potevo entrare in quella casa! C’era il letto dove era stato fino al giorno prima di morire, la bombola dell’ossigeno, tutte le medicine, il letto ancora c’aveva l’impronta di come l’avevano portato via quelli dell’ambulanza e ho detto... e come ci campo io qua? Io m’ammazzo, che campo a fare? Non ha proprio più senso. Io campavo perché lui aveva bisogno di me, i parenti di lui non hanno voluto sapere niente ma lui con loro non ci sarebbe mai andato... era con me che voleva stare, con me solamente. Lui me l’ha fatto giurare che non avrei fatto stupidaggini, ma io non so proprio campare più, ma un vecchio come me che campa a fare? Non c’ho proprio voglia di vivere. E che sono stati gli ultimi giorni... Adesso gli hanno fatto pure il funerale in Chiesa, a lui che non ci aveva mai messo piede e io non ci sono andato... No, non per i parenti, io preferisco non incontrarli ma credo che non avrebbero detto niente. Me l’aveva fatto promettere lui che non sarei andato né al funerale né alla tumulazione. M’ha detto che non devo andare a trovarlo al cimitero e che il giorno del suo onomastico e del suo compleanno mi devo mangiare la crostata come abbiamo fatto sempre insieme. M’ha lasciato scritto tutto quello che dovevo fare con le cose sue, che dovevo buttare tutto, le medicine, le analisi e che dovevo conservare solo i diari che scriveva giorno per giorno, ma non ti creder che erano cose psicologiche, c’era scritto quello che mangiavamo, quello che vedevamo alla televisione, le cose delle bollette, della tasse... anche qualche cosa un po’ più nostra... me le leggeva tutte le sere. L’ultimo l’ha scritto lunedì e c’è scritto che mi voleva bene perché l’avevo aiutato a vivere fino alla fine. Adesso per me campare da solo è dura, a me la pensione di reversibilità non me la danno mica, devo campare solo con la mia ma lui qualche cosa me l’ha lasciata. Ma il problema è che adesso io torno a casa e non ci sta nessuno... e quella era proprio la casa nostra. Noi siamo tutti e due del ’35, ci siamo conosciuti alla fine del ’65, a 30 anni, e la casa l’abbiamo comprata insieme nel ’70. E non si sa come l’abbiamo arredata, prima non avevamo una lira e abbiamo risparmiato su tutto, poi piano siamo riusciti a pagarla... era casa nostra. Quando eravamo giovani la gente si chiedeva tante cose ma non è che ti venivano a dare fastidio, noi al posto nostro e loro al posto loro. Non siamo mai andati a una riunione di condominio e non abbiamo ma fatto la delega a nessuno e come ce la tenevamo la casetta! Che poi è bella perché c’è un balcone grande tutto scoperto e noi l’estate sempre là abbiamo mangiato. Quando s’è ammalato, quando il tempo lo permetteva, lo portavo sempre sul balcone a prendere l’aria e mi faceva i complimenti per i vasi dei fiori. M’ha detto che lui resterà sempre con me e io me lo sento come se stesse qua, vicino a me. Tutto m’ha fatto buttare via pure la poltrona dove si metteva lui, diceva che non dovevo conservare feticci e che a lui lo dovevo portare nel cuore. Mo’ io una cosa sola voglio, voglio morire presto, no... senza fare gesti, no, ma il Padre Eterno mi deve fare la grazia di farmi morire perché io qua non riesco a campare più.

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