sabato 19 aprile 2008

INCONTRI GAY

In questi giorni mi sono reso conto per esperienza diretta di quanto sia importate per me il contatto con i ragazzi di Progetto Gay, di come realmente mi manchino, di come la loro presenza abbia un ruolo primario nella mia vita affettiva. La sensazione di isolamento è in sostanza una sensazione quasi di esilio. Mi sento lontano dal mio mondo. Mi chiedo che cosa sarà successo nel frattempo, che cosa ho perso a causa della rottura del mio computer. Domani è domenica e la giornata trascorrerà in attesa e poi ancora qualche giorno… ancora qualche giorno di vuoto, come quando, internet non esisteva, come quando 40 anni fa mi domandavo che futuro mi aspettasse. Allora sognavo molto, ma la sensazione di isolamento praticamente totale la sentivo vivissima. Perfino la parola gay era tabù, per me poi, cresciuto in una tipica famiglia per bene, quella parola aveva un sapore affascinante di proibito: l’altra faccia della luna, quella che nessuno conosce, eppure io avevo la chiara sensazione di conoscerla. Ma allora, senza internet, senza l’anonimato, la vita di un gay poteva giocarsi solo fra due alternative: essere o non essere. Oggi, col senno di poi, la scelta di “essere” sembrerebbe ovvia, eppure allora non lo era. “Essere” significava nella stragrande maggioranza dei casi finire in un ghetto di marginalità. Allora l’idea di omosessualità come normalità non esisteva affatto. La parola gay comportava un che di abnorme, di eccessivo anche per gli stessi gay, almeno in dimensione pubblica. Allora come oggi i gay esistevano, allora come oggi era in pratica assolutamente impossibile accorgersi di loro nei normali ambienti di vita sociale, a scuola o all’università, ma allora non c’erano altre possibilità di nessun genere, la vita dei gay, della stragrande maggioranza dei gay finiva lì. Solo a 34 anni ho avuto per la prima volta occasione di parlare con un ragazzo dichiaratamente gay. Lo ricordo molto bene. Camminavo lungo un bel viale di una città del Nord Italia, non avevo certo il modo di fare di uno che va di fretta, in quegli anni il mio lavoro mi lasciava tempo libero in quantità, le mie giornate si consumavano letteralmente in lunghissime attese, specialmente nei pomeriggi, passeggiavo, compravo qualche libro, in buona sostanza andavo avanti e dietro come un vagabondo, perché nella città dove lavoravo non conoscevo assolutamente nessuno. Bene, mentre andavo così, col mio fare svagato, mi si avvicina un ragazzo (anche un bel ragazzo) e mi chiede una sigaretta (a me… che non ho mai fumato in vita mia!), io apro le braccia e accenno un sorriso come a dire: “Mi spiace ma hai scelto la persona sbagliata…” lui mi guarda, sorride a sua volta e mi dice: “Dove stai andando?” Gli rispondo che sono senza meta, e aggiunge: “Ti dispiace se facciamo due passi insieme?”. So benissimo che chi legge può rimanere perplesso e può pensare che sia una storia inventata, ed io stesso, sul momento sono rimasto perplesso, ma è successo esattamente così… Mi dice subito che ha 25 anni, ma aggiunge con una punta di autoconsolazione “appena compiuti”, mi chiede la mia età (34) e mi dice che ne dimostro di meno, subito dopo si dichiara “Io sono gay”. Per me è una dichiarazione sconvolgente. Fingo di non essere turbato. Ovviamente mi guardo molto bene dal dire “anche io” e lo lascio parlare, ogni tanto, quando la conversazione langue, gli faccio qualche domanda. Mi risponde in modo singolarmente serio. Mentre camminiamo passa un ragazzo e lo saluta con una formula per me inusuale: “Ciao bello!” Io mi sento molto a disagio perché farmi vedere in giuro con quel ragazzo può significare essere etichettato come gay, lui se ne accorge e mi dice che si rende conto benissimo che posso stare a disagio e che se volessi andare via lui non ci rimarrebbe male, ma lo rassicuro. E’ contento che io non voglia andarmene. La situazione non è simmetrica, lui non mi fa nessuna domanda ma parla solo di sé. E’ un ragazzo gay pubblicamente dichiarato, ha amici gay, con i quali frequenta qualche locale gay, non ha un ragazzo e dice che con i suoi amici gay non riesce a parlare seriamente. Mi parla delle reazioni della sua famiglia e tende a giustificarla anche negli atteggiamenti meno tolleranti. Ride, scherza, fa battute ma sempre su se stesso, non mi chiede nulla di me. Intanto, camminando e parlando abbiamo fatto molta strada e siamo quasi fuori città, a un certo punto cambia strada e mi dice solo: “andiamo per di qua” poi mi chiede che cosa peso di lui. Gli rispondo che sono contento di parlare con lui e che parlare con lui mi ha aperto gli occhi su tante cose. A questa espressione dà il significato più prudente possibile e cerca di spiegarmi quello che lui vorrebbe realizzare, ma lo fa col tono tipico del ragazzo gay che sta spiegando al suo amico etero che essere gay non è poi una cosa così tremenda. Più quel ragazzo parla più mi vado convincendo di una verità che oggi mi sembra ovvia e cioè che essere gay è una cosa assolutamente naturale. Ho parlato con quel ragazzo fino all’ora di cena, l’ho ascoltato molto attentamente ma non gli ho detto che ero gay, un discorso del genere, allora, non rientrava per me tra le ipotesi possibili. L’indomani mattina era domenica e sarei andato, come ogni domenica a fare una gita a Lecco, avrei fatto una lunga passeggiata da solo lungo il lago, avrei pranzato da solo in un ristorante di fronte al lago e poi avrei ripreso il treno per essere a casa la sera. Allora vivevo solo. Mi è venuta in mente un’idea, ho invitato quel ragazzo a venire con me l’indomani, era tentato, anche perché io ho insistito, poi mi ha detto: “No… è meglio di no… altrimenti mi metto strane idee in testa…” A distanza di tempo ho pensato spesso che, se gli avessi detto di me, quell’incontro casuale (chissà se poi era veramente casuale…) avrebbe potuto avere un seguito, si è limitato a dirmi che ero una brava persona e che era stato contento di parlare con me e ci siamo salutati così, senza darci la mano. L’indomani, passeggiando lungo il lago, ho ripensato mille volte a quanto sarebbe stato bello se con me ci fosse stato quel ragazzo, ma ormai la situazione non si poteva più modificare e forse non lo avrei nemmeno voluto. Anche se il rimpianto era stato grande, fare un’altra scelta avrebbe comportato difficoltà insormontabili. Nei giorni successivi sono tornato più volte nei posti dove avevo incontrato quel ragazzo e nelle strade che avevamo percorso insieme ma non l’ho più visto e allora non c’erano nemmeno i telefonini.
Permettetemi ora qualche riflessione sul 25enne che avrei voluto portare con me sul lago di Como. Chi ha letto la storia che ho riportato poco sopra si sarà chiesto perché, anche se sembrava la cosa più ovvia, non ho detto a quel ragazzo che ero gay anch’io e a questo vorrei cercare di dare una risposta quanto più onesta possibile.
Quel ragazzo lo sentivo vicino, almeno in modo intuitivo e nei limiti di quello che si può capire da un colloquio di qualche ora; se mi aveva fermato chiedendomi una sigaretta e poi chiedendomi di fare due passi con lui non era certo per la sigaretta. Mi sono chiesto più volte che cosa potesse averlo indotto ad individuarmi come persona degna di un’attenzione speciale. Io, allora come adesso, non venivo mai individuato come gay, nemmeno a livello ipotetico. Se quel ragazzo mi ha fermato, penso però che lo abbia fatto proprio presupponendo che io fossi gay. Il radar gay di quel ragazzo funzionava veramente bene ma non riesco a capire come sia arrivato alla conclusione. Ho anche pensato, e l’ipotesi non è poi del tutto peregrina, che mi avesse fermato anche prescindendo dalla mia identificazione come gay, perché aveva un fortissimo bisogno di parlare di sé. In effetti sembrava più interessato a parlare si sé e a farsi accettare per quello che era che non a capire chi io fossi veramente. Il suo dichiararsi gay subito, dal mio punto di vista, risultava spiazzante e incomprensibile. Per quanto paradossale possa sembrare, ci possono essere più difficoltà di approccio tra un gay dichiarato pubblicamente e un gay non dichiarato che tra un gay dichiarato pubblicamente e un etero. Da tutto l’insieme della serata sarei portato a credere che quel ragazzo mi avesse considerato realmente un etero di mentalità molto aperta. Nei miei confronti non c’è mai stata la minimia forzatura né la minima insistenza nemmeno verbale. Il colloquio era disinvolto e aveva le tipiche caratteristiche di un discorso amichevole che non sottende alcuna valenza sessuale, parlava di “innamorarsi di un ragazzo” ma non parlava di sesso, anzi il discorso era addirittura impacciato quando rasentava esplicitamente temi sessuali, che rimanevano comunque al solo livello di accenno mentre i temi di interesse affettivo erano il centro della conversazione. Quel ragazzo mi dava l’impressione tipica del gay che nonostante si senta inserito in un ambiente di amicizie gay, non ci si sente di fatto a suo agio, come se, in quell’ambiente, fosse quasi costretto a seguire un copione molto standardizzato. Ma la questione da analizzare non è tanto il comportamento di quel ragazzo quanto il mio aver evitato di dirgli che ero gay. Oggi come allora non sono affatto convinto che dichiararmi sarebbe stata la cosa migliore da fare. A 34 anni avevo vissuto, e anzi vivevo, i miei innamoramenti anche se nei confronti di ragazzi etero, ragazzi con i quali sono rimasto in ottimi rapporti anche ora e che, anche se hanno seguito la loro strada che li portava vero le donne e verso il matrimonio, mi hanno voluto bene veramente. Se la storia col 25enne avesse avuto un seguito (cosa astrattamente possibile) avrei messo in crisi quegli altri rapporti ai quali tenevo e tengo tuttora molto, ma non credo, onestamente che la più grande spinta al silenzio vero il 25enne sia stata questa. Aggiungo che era anche un bel ragazzo, molto sorridente e con una evidente e seria disponibilità affettiva. A quel tempo, relativamente alla mia età, mi sentivo uno piuttosto realizzato e un’amicizia con quel ragazzo, con tutto il giro di chiacchiere che avrebbe potuto comportare in una piccola città, che prima o poi avrebbe inevitabilmente condotto anche me ad essere individuato come gay, era per me un rischio sociale grosso, probabilmente troppo grosso per essere accettabile. Se fossi stato a Milano, forse, mi sarei comportato diversamente, ma lì dove mi trovavo mi sembrava che la prudenza fosse d’obbligo. E in fondo che futuro avrebbe potuto avere una storia come quella? Ostacoli familiari fortissimi da parte della mia famiglia con la quale non ho mai fatto il coming out, rischi gravi a livello di lavoro se quella relazione fosse divenuta di dominio pubblico, cosa comunque alla lunga inevitabile. Mi sarebbe piaciuto mantenere un’amicizia con quel ragazzo ma, onestamente, anche se fosse venuto con me sul lago di Como il giorno appresso, non credo gli avrei detto nulla di me… lo avrei voluto come amico, ma senza scoprire le mie carte, il che in fondo vuol dire che non sarei mai stato veramente un amico per lui. Ho fatto mentalmente i miei conti ed ho deciso di tirare avanti. Piccineria mentale? Paure di tipo sociale? Me ne sono mai pentito? No, non mi sembra proprio. A distanza di quasi 23 anni ho cercato di ipotizzare i possibili scenari in cui quella storia avrebbe potuto evolversi… ma gli elementi sono pochi e labili e le ricostruzioni seguono più che la logica i profili dei miei umori giornalieri.
Se volete, potete partecipare alla discussione su questo post aperta sul Forum di Proggetto Gay:
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