lunedì 28 dicembre 2009

CONSIGLI AI GENITORI DI UN FIGLIO GAY

Questo articolo intende spiegare ai genitori di figli gay come i loro comportamenti sono visti dai figli, in questo modo i genitori possono avere un’idea di che cosa fare e che cosa non fare con un figlio gay.

Quando un ragazzo ha 14/15 anni, e talvolta anche prima, comincia ad avere una propria vita sessuale, scopre la masturbazione e, nel XXI secolo, immancabilmente, comincia a fare uso della pornografia online.

Contemporaneamente all’inizio dell’attività sessuale, quel ragazzo sente due diverse esigenze, innanzitutto l’esigenza della privacy, cioè di avere un suo spazio riservato e dei tempi in cui ha la certezza di non essere disturbato, proprio per dedicarsi all’esplorazione della sessualità, quindi l’esigenza di trovare informazioni serie concernenti la sessualità, che gli forniscano risposte senza metterlo in situazioni imbarazzanti. Per un ragazzo che ha appena iniziato a masturbarsi, attività assolutamente naturale e necessaria per lo sviluppo della sua sessualità, non c’è niente di più umiliante di essere sorpreso dai genitori mentre si masturba o peggio che i genitori gli facciano capire che loro sanno quello che fa. Quando un ragazzo cresce, un genitore deve capire che è assolutamente inevitabile che quel ragazzo abbia una “sua privatissima” vita sessuale nella quale ”nessuno” ha il diritto di entrare e “per nessun motivo”. La prima regola per un genitore è evitare l’invadenza nella vita sessuale del figlio e sapersi tenere da parte mantenendo un ruolo di punto di riferimento “solo eventuale” per il figlio. Un genitore non deve fare domande al figlio concernenti la sua sessualità, non lo deve mai mettere in imbarazzo. E qui, trattandosi di ragazzi, un ruolo fondamentale spetta ai padri piuttosto che alle madri. Una madre non conosce a fondo lo sviluppo della sessualità maschile perché non lo ha vissuto in prima persona e per un ragazzo parlare della propria sessualità con una persona del sesso opposto, tanto più se è la propria madre, può essere molto imbarazzante perché il discorso deve essere esplicito. Un padre, se pensa che abbia senso accennare alla masturbazione con il figlio, non deve partire dalla sessualità del figlio ma dalla propria, accennando al discorso come a cosa ovvia, che non costituisce un tabù e accompagnando il cenno (che deve rimanere solo un cenno se il figlio non prosegue il discorso) con una battuta di alleggerimento o con un sorriso ammiccante. Riporto qui di seguito un frammento di dialogo tra un padre 45enne e un figlio 15enne.

Occasione: padre e figlio hanno visto insieme un servizio in televisione sugli approcci alla sessualità da parte dei giovanissimi.
Padre: Vabbe’, si stupiscono tanto che a 14/15 anni i ragazzi sappiano che cosa è il sesso, quando ero ragazzo io magari non avevamo proprio rapporti come questi ragazzi di oggi ma, insomma, oh … (guarda il figlio sorridendo) … che c’hai da ridere … certe cose le ho fatte pure io … non sono mica una marziano!
Figlio (sorride).
Fine del discorso.

Questo frammento è un approccio non invasivo che sdrammatizza e non crea imbarazzo ma quasi una forma di complicità. Sottolineo che nella frase del padre non c’è nessun riferimento all’orientamento sessuale (non si parla di ragazze, cosa che per un figlio gay potrebbe creare allarme e imbarazzo).

L’approccio alla sessualità di un figlio da parte della madre è molto più problematico, tanto più se si tratta di un figlio gay. Se un ragazzo “esplicitamente” vuole parlare con la madre di sessualità “senza coinvolgere il padre”, il compito della madre non è quello di indagare e di capire ma di ascoltare attentamente e non ansiosamente per dare al figlio una sicurezza, evitando di coinvolgerlo nelle proprie ansie. Quando una madre non sa che cosa dire al figlio o si trova in imbarazzo può intanto tranquillizzarlo in un modo molto semplice: quando il discorso sulla sessualità è finito, la madre non lo deve riprendere, cosa che sarebbe segno di ansia destabilizzante, come un sottolineare che c’è un “problema” da risolvere, ma deve proseguire il suo rapporto con il figlio come se nulla fosse accaduto, questo per dare alla sessualità una dimensione di naturalezza e di normalità che dovrebbe essere sempre la regola.

Una situazione particolarmente delicata si crea quando un ragazzo in fase adolescenziale vive in modo oggettivamente problematico l’approccio con la sessualità. Sono queste in genere le situazioni in cui i genitori entrano in stati d’ansia connessi con il malessere del figlio. Un genitore che vede il malessere del figlio deve chiedersi se per lui sia più importante alleviare lo stato di disagio del figlio oppure “sapere” come stanno le cose per poter “aiutare” il figlio. Premetto che, nonostante le apparenze, si tratta di situazioni spesso inconciliabili. Per aiutare un figlio a superare stati di disagio è spesso necessario accattare di “non conoscere” in concreto la vita del figlio. Se mio figlio vuole parlare con me di sessualità lo fa spontaneamente, se non lo fa non devo forzarlo in nessun modo, posso stargli vicino attraverso le normali premure familiari: accompagnarlo dai suoi amici senza fare troppe domande, lasciargli la cena pronta quando torna tardi, accoglierlo con un sorriso. Un genitore non può pretendere di aiutare un figlio se questo non vuole coinvolgerlo perché un ragazzo ha diritto alla sua privacy. Ha molto più valore una presenza affettuosa e costante che non affronti temi sessuali di una presenza assillante che miri a “sapere” e a “capire” come stanno le cose, comportamento questo che può portare all’interruzione totale della comunicazione col figlio e a comportamenti di razione e di radicale distacco dalla famiglia.

Se un genitore ha dubbi sull’orientamento sessuale del figlio deve evitare di assillarlo e deve invece preoccuparsi di rassicurarlo senza coinvolgerlo in modo imbarazzante in discorsi diretti ma attraverso accenni indiretti di rispetto verso i gay, accenni che non devono essere neppure troppo insistiti, perché altrimenti suonerebbero falsi. Se i genitori hanno un reale rispetto per i gay oppure fingono il figlio lo capisce perfettamente, quindi per un genitore la cosa fondamentale per non destabilizzare affettivamente il proprio figlio gay è arrivare ad un rispetto vero della omosessualità. Il genitore dovrebbe prima mettere in discussione se stesso e i propri preconcetti e solo dopo dovrebbe pensare di poter parlare di questi argomenti con il figlio.

Premesso che è sempre bene occuparsi in prima persona dei propri figli, senza delegare compiti fondamentali a nessuno, accade talvolta che un genitore, vedendo la situazione di disagio del figlio, lo indirizzi da uno psicologo che gli possa fornire supporto. Qui deve essere chiarito un punto delicatissimo: il rapporto tra uno psicologo e il suo paziente deve essere assolutamente “confidenziale” cioè “riservato”, un professionista serio, anche in un rapporto con un paziente minorenne, ha l’obbligo professionale del segreto. Purtroppo questo obbligo non è sempre rispettato e lo psicologo “nell’interesse del minore” o meglio nel presunto interesse del minore ma oggettivamente cedendo alle pressioni dirette o indirette dei genitori, arriva a comunicare ai genitori l’omosessualità del figlio “a sua totale insaputa”, rompendo in modo violento un rapporto di fiducia che per un ragazzo poteva essere importante, cosa che ha affetti devastanti per un ragazzo che si sente tradito in una dimensione che dovrebbe essere di assoluta riservatezza. In questo modo lo psicologo, accortamente scelto dal genitore, diventa in sostanza una spia del genitore, cosa questa che indica non rispetto verso il figlio ma volontà di “sapere ad ogni costo” da parte del genitore, anche violando la privacy del figlio. Sottolineo che il rapporto di un ragazzo con uno psicologo deve rimanere assolutamente riservato. I genitori non devono scegliere lo psicologo e non devono andare al suo studio prima dei colloqui con il figlio e nemmeno dopo, il rapporto con lo psicologo non è un’appendice del rapporto genitori-figlio, ma una rapporto del tutto distinto e separato nel quale i genitori non devono entrare, peggio che mai se lo psicologo è un amico di famiglia. È buona regola avere il nominativo dello psicologo dal medico di base e non chiedere “mai” allo psicologo informazioni circa il proprio figlio e neppure al proprio figlio un giudizio sullo psicologo. Mi capita diverse volte di parlare con ragazzi che, mandati dallo psicologo dai genitori, non si fidano dello psicologo. In questi casi l’approccio dello psicologo non solo è svuotato dall’interno ma è controproducente.

Nel rispetto della dimensione della privacy dei figli bisogna tenere presente che se un genitore ha dubbi sulla sessualità del figlio, quei dubbi deve tenerli per sé, già parlarne col proprio coniuge può essere un fatto negativo, parlarne col coniuge separato è poi assolutamente da evitare, in particolare se si tratta di persona che non ha un ottimo rapporto con il figlio.

Un genitore non deve intromettersi nei rapporti del figlio con i suoi compagni di scuola e con i suoi amici, quando un figlio fa una festa a casa e invita i suoi compagni di scuola i genitori, se non chiamati direttamente in causa del figlio, devono mantenere una posizione marginale, di basso profilo, devono evitare di entrare in confidenza con gli amici e con i compagni di scuola del figlio e per nessuna ragione devono cercare di ottenere informazioni sul figlio dai suoi amici o di suoi compagni. Mettere un figlio in condizioni di imbarazzo con i suoi compagni di scuola o con i suoi amici crea una rottura del rapporto genitori-figlio che è difficile riparare. Terribili e odiose sono le situazioni in cui un ragazzo che si è confidato con i suoi genitori in modo esclusivo si rende conto che altri suoi parenti “sanno della sua sessualità” e che la fonte delle notizie sono stati proprio i genitori, incapaci di mantenere la riservatezza.

Ho visto diverse volte genitori terrorizzati dal fatto che il figlio si fosse dichiarato gay, la reazione più tipica, di falsa accettazione consiste nel dire che “è solo una fase transitoria che poi passerà e tutto ritornerà nomale”, ma ci sono anche altre reazioni di tipica non accettazione: “vai dallo psicologo e vediamo che cosa si può fare”, “ma sei proprio sicuro?”, “ma non sei gay, lo dici solo per provocarmi”. In queste situazioni è ovvio che i genitori dovrebbero risolvere i loro problemi circa il rifiuto della omosessualità prima di pensare di poter essere di “aiuto” al proprio figlio. Il verbo “aiutare”, usato nei confronti dei figli gay non fa che sottolineare la dimensione problematica dell’essere gay, dimensione problematica che esiste solo nella misura in cui si vede l’essere gay come problema. La problematicità dell’essere gay aumenta con l’ignoranza della questione e con l’aumentare dei livelli di ansia dei genitori che voglio a tutti costi “aiutare” il figlio a risolvere un “problema” che in realtà non esiste e lo vogliono “salvare” da una indefinita serie di pericoli dei quali il genitore non ha comunque la più pallida idea concreta.

Se una cosa un genitore ha il sacrosanto dovere di fare, è fare capire al figlio che la propria salute va salvaguardata anche nell’attività sessuale perché è un valore assolutamente fondamentale. La prevenzione non deve essere affrontata in modo generico con un vago “stai attento” ma in modo competente, parlare con il genitore deve servire al figlio per ottenere informazioni affidabili e precise. Se un genitore non si sente sufficientemente informato può aggiornarsi in modo specifico sul sito del Ministero della salute o anche sul sito di Progetto Gay che ha ripubblicato una importante notizia informativa sull’aids di fonte ministeriale: https://sites.google.com/site/progettog ... -dall-aids .

Un figlio che cresce, e in particolare un figlio gay, non deve essere coinvolto per nessuna ragione in situazioni aggressive, tanto più se si tratta di situazioni aggressive legate al suo essere gay. Mi capita ancora talvolta di parlare con madri preoccupate che non vogliono che il marito sappia della omosessualità del figlio perché reagirebbe in modo violento. Una scenata, e peggio che mai uno schiaffo dato a un ragazzo gay del genitore proprio perché il figlio è gay, comporta la comprensibilissima rottura definitiva dei rapporti padre-figlio. Si resta stupiti di quanto, ancora oggi, esistano reazioni violente dei genitori all’idea della omosessualità del figlio e anche da parte di genitori con livelli alti di istruzione ma che evidentemente sono del tutto ignoranti in materia di sessualità e non sono neppure capaci di trattenersi dalla violenza e di ragionare come persone civili.

Ho visto spesso come il rapporto conflittuale con i genitori possa pesare in modo condizionate e oppressivo sui figli gay anche ben oltre i limiti dell’adolescenza. È enormemente significativo il fatto che, quando si realizza, il coming out con i genitori è sempre l’ultimo in ordine cronologico e comunque i ragazzi che si dichiarano esplicitamente gay con i genitori non sono più del 3%.

Il succo di questo articolo si può condensare in due principi che i genitori di un figlio gay non dovrebbero mai dimenticare:

1) Un genitore prima di affrontare con il figlio il discorso sulla omosessualità dovrebbe chiedersi qual è il suo personale atteggiamento in materia. Si chieda seriemente se sa di che cosa si tratta o se presume solo di saperlo e se si rende conto di non avere, lui o lei in prima persona, le idee chiare, cerchi prima di chiarirsele. Cerchi prima di chiarire se il suo atteggiamento è realmente di accettazione o se dietro parole apparentemente concilianti non si nascondano concezioni omofobe (omosessualità come patologia da curare, come vizio da superare, come peccato da evitare).

2) Un genitore, anche dopo aver raggiunto una piena consapevolezza di che cosa sia l’omosessualità, deve rispettare “senza eccezioni” la privacy del figlio, rimanendo presente e disponibile ma mai in termini invasivi e comprendendo che la sessualità del figlio è del figlio e non del genitore e che la volontà di proteggere il figlio rischia di farlo diventare incapace di reagire autonomamente o di portarlo ad una posizione di aperta rottura con la famiglia.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=15&t=527

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