martedì 9 febbraio 2010

ACCETTARE UN AMORE GAY

Ciao Project,
ti dico subito che mi sento in un imbarazzo terribile perché non ho mai scritto una mail a un sito gay e di te so solo quello che ho potuto dedurre dal forum. Non so nemmeno se arriverò fino in fondo a scrivere e se poi la mail te la manderò, però ho proprio bisogno di scrivere a qualcuno e penso che tu possa avere la possibilità di capire e forse di dirmi quello che pensi. Cercherò di essere molto diretto per farti capire come stanno le cose, ma sarò diretto a modo mio perché di più proprio non ci riuscirei.
Ho 28 anni, per mia fortuna ho un lavoro che mi dà soddisfazioni e che, non dico che mi permette di stare bene ma certo mi consente di non dipendere da nessuno. Lavoro lontano dalla città della mia famiglia di origine. Non so dirti se è stata una scelta o solo un prendere al volo un’occasione, ma quando ho avuto la possibilità e anche la scusa per andare via di casa non ho esitato e me ne sono andato. Avevo appena compiuto 26 anni e pensavo che andandomene di casa avrei risolto tutti i miei problemi, mi sarei staccato dall’ambiente dei miei genitori che mi sembrava proprio oppressivo e dall’ambiente di una piccola cittadina di provincia e sarei andato a vivere finalmente al nord. Per me era diventato un mito, l’idea della libertà totale e del poter finalmente cominciare a vivere. Fino a 26 anni, in pratica, non avevo vissuto nemmeno a livello minimo, ero stato schiacciato dallo studio e dalla totale impossibilità di avere anche un minimo di privacy. Ho due fratelli uno più grande di me di un anno e uno di due. Avevamo la stanza in comune in tre, il computer in comune e i miei fratelli erano maghi dell’informatica. Non ho mai avuto la possibilità di stare da solo perché non capitava mai che i miei due fratelli non fossero a casa negli stessi momenti. Per me l’adolescenza è stata letteralmente un tormento. I miei compagni di scuola la privacy ce l’avevano, io no! A casa mia poi il clima è sempre stato molto rigido. I miei genitori sono cattolici fino al midollo e con noi sono stati rigidissimi. Per loro l’idea che i figli potessero avere le loro opinioni non esisteva proprio. Si andava in chiesa è basta, non c’era niente da decidere, era tutto deciso. I miei sono sempre stati religiosi, a loro modo in modo serio, cioè loro le regole le seguivano, mio padre e mia madre si comunicavano tutte le domeniche e in un modo o nell’altro dovevamo farlo anche noi, cioè non potevi scappare altrimenti avresti subito un interrogatorio di terzo grado. Quando ero piccolo, diciamo fino a 12/13 anni, tutto questo non mi pesava. Poi è arrivata l’adolescenza e lì sono venuti i problemi. Internet zero! Libri su certi argomenti meno di zero! Amici in pratica zero perché i miei amici venivamo molto di rado a studiare a casa mia ma mai io andavo a casa loro, non me lo permettevano proprio. Avrei potuto capire qualcosa parlando coi miei fratelli, ma loro, che erano più grandi di me, di certe cose non parlavano mai. In pratica della sessualità ho imparato tutto da solo, e così è cominciato l’incubo della confessione domenicale. Frequentavamo tutti la parrocchia, sia i miei genitori che noi figli. I preti erano tutti vecchi e con una mentalità terribilmente chiusa. In pratica io allora identificavo la religione con l’idea di non fare sesso. Un ragazzo che cresce ha bisogno dei suoi spazi ma per me non ce n’erano. A casa avevo un minimo di autonomia solo la mattina presto sotto la doccia ma anche lì la privacy in sostanza non c’era. La porta del bagno non aveva la chiave e capitava spesso che estrasse qualcuno quando ero sotto la doccia. C’era una tenda di quelle non trasparenti, è vero, ma francamente il disagio lo sentivo fortissimo. Diciamo che in pratica per me quel po’ di attività sessuale che hanno tutti i ragazzi, in pratica era una cosa rarissima, ma proprio rarissima. Quindi succedeva spesso che la notte facessi sogni bagnati e lì l’imbarazzo era totale perché mia madre ci portava la biancheria lavata tutti i gironi e si riportava quella sporca e io, di nascosto facevo di tutto per togliere le macchie dalla mutande, ma evidentemente le macchie ci restavano. Questa è stata una delle situazioni ricorrenti più imbarazzanti che mi siano mai capitate, anche perché io in pratica non avevo una vita sessuale a nessun livello. Allora, dai 13 anni in poi, fino ai 15 più o meno, non mi ponevo nemmeno il problema dell’orientamento sessuale, per me la parola sesso era una parola sporca che mi richiamava alla mente solo il fatto che mia madre potesse trovare la mia biancheria macchiata. Forse non ci crederai, ma della sessualità dei miei fratelli non ho mai saputo nulla, loro non ne hanno mai parlato, quando sono stati più grandi ho saputo da mia madre che avevano la ragazza e poi ho anche conosciuto le ragazze, ma tutto è avvenuto tramite la mia famiglia. Non ho mai capito fino che punto sono stati loro a trovarsi una ragazza e a presentarla a casa e ho sempre sospettato che la scelta sia maturata di concerto con i miei genitori, anche perché le ragazze erano entrambe legatissime all’ambiente della parrocchia in cui i miei ci avevano fatto crescere. Tra i 16 e i 17 anni mi sono reso conto del mio orientamento sessuale e sono andato in crisi, soprattutto perché non ne sapevo nulla e non avevo modo di trovare informazioni serie. Se avessi avuto allora la possibilità di leggere Progetto Gay credo che avrei avuto molti meno problemi o che non ne avrei avuti per niente. Non sapevo con chi parlare, avevo paura di tutto, i miei fratelli ormai avevano la ragazza e l’idea che potessero capirmi non c’era proprio, i miei genitori quando capitava di sentire parlare di gay in tv cambiavano canale. I preti ne parlavano come di una malattia che dovrebbe essere curata. Io non sapevo dove sbattere la testa. Al liceo sono andato in una scuola pubblica e lì mi è capitato più volte di trovarmi in situazioni che per me erano proprio imbarazzanti mentre per i miei compagni non lo erano per niente. Ero considerato un bel ragazzo e nessuno ha mai sospettato del mio orientamento sessuale. Stavo sulle mie, non uscivo nemmeno dall’aula per fare ricreazione, studiavo molto, andavo bene, specialmente in matematica e in fisica, ma durante le ore di educazione fisica e specialmente prima e dopo nello spogliatoio sentivo proprio una violenta frattura interna. Una parte di me avrebbe voluto almeno osservare quello per me era assolutamente interessante e che a tutti gli altri non faceva né caldo né freddo, ma l’altra parte di me mi diceva che era sbagliato e che bisognava farsi forza. In certi momenti mi forzavo a non guardare e ad uscire dallo spogliatoio il più presto possibile, quando ne uscivo ero contento di me ma pensando che gli altri ragazzi stavano ancora dentro e che avrei voluto starci anche io mi veniva proprio un senso di frustrazione tremendo. Aspettavo la lezione di E.F. perché mi dicevo che questa volta sarei rimasto ad assistere fino alla fine nello spogliatoio, ma poi sistematicamente mi forzavo a non guardare e scappavo via immediatamente e quando magari casualmente mi capitava di restare qualche secondo in più e mi cadeva l’occhio dove non avrebbe dovuto cadere, i sensi di colpa erano tremendi e i miei problemi con la religione mi distruggevano dentro. In pratica non vivevo nessuna forma di sessualità se non di sola fantasia. Quando rarissimamente mi lasciavo andare oltre la fantasia i sensi di colpa erano pesantissimi e in pratica correvo subito in chiesa a scaricarmi la coscienza. Oggi mi rendo conto che in tutto questo c’era qualcosa di patologico ma allora non me ne rendevo conto e pensavo che il patologico fosse dentro di me e non in questa specie di meccanismo infernale. I bei ragazzi c’erano, li vedevo, ma li evitavo come il demonio. Più di qualcuno ha cercato di diventare mio amico ma io li respingevo quasi istintivamente. I miei fratelli avevano portato a casa le loro ragazze ma io non ci avrei mai potuto portare un ragazzo. La cosa in pratica è andata avanti così fino alla maturità e sarebbe andata avanti anche dopo, ma è successo un fatto che mi ha turbato profondamente e mi ha fatto stare malissimo. Un mio compagno di università, tra l’altro un ragazzo veramente bello che mi piaceva moltissimo, deve avere capito come stavano le cose. Lui era gay, dopo me lo disse chiaramente, e si era innamorato di me. Avevo notato che mi osservava, che cercava di sedersi vicino a me, mi faceva domande di studio, cercava di avvicinarsi a me. Questo ragazzo è stato nello stesso tempo la mia unica felicità e il mio tormento. Che avrebbe fatto un ragazzo normale in una situazione del genere? Credo che non ci avrebbe pensato due volte. C’erano tutte, ma dico tutte, le condizioni favorevoli. Lui era innamorato di me e io di lui, ma io che ho fatto? Ho avuto paura, paura di essere preso in giro, ingannato, strumentalizzato, magari ridotto solo a oggetto di interesse sessuale, paura che si sapesse in giro. Mi dicevo che quel ragazzo era uno sfacciato a fare certi discorsi e che non poteva non essere un poco di buono e se mi fossi lasciato andare l’avrei pagata carissima. La faccio breve. Messo alle strette gli ho detto che non ero gay, che non avevo nulla contro i gay ma che avrebbe fatto bene a pensare a qualche altro ragazzo. Lui c’è rimasto malissimo. Sono stato quasi sul punto di dirgli la verità ma non l’ho fatto. Ho continuato fino alla fine dell’università a fare finta di essere etero e di non essere interessato a quel ragazzo. Quando poi lui ha trovato un altro ragazzo e me lo ha fatto conoscere io ho dovuto fingere di essere contento per lui e una sera siamo andati a cena tutti e tre, loro, la coppia gay, e io, l’amico “etero”. Adesso quel ragazzo lo sento di nuovo, è rimasto solo, il suo ragazzo lo ha lasciato, ma ormai io sono l’amico “etero” e la faccia di dirgli la verità non penso che l’avrò mai. Non ti nascondo che adesso che vivo per conto mio questo ragazzo, anche se non lo chiamo mai al telefono, perché mi chiama sempre lui (e adesso che è solo anche di frequente) è diventato l’oggetto unico delle mie fantasie e non solo, cosa della quale mi vergogno non poco perché ho l’impressione di sporcarne l’immagine. Quando mi chiama cerco di allungare la telefonata il più possibile, non parliamo mai meno di un’ora, mi dice che se non ci fossi io non avrebbe nessuno e riferendosi a me fa apprezzamenti dicendomi che si vede che gli etero (io) sono persone che sono serene dentro perché riescono a stare a sentire uno come lui senza nessun secondo fine, mentre i gay ci mettono sempre il sesso in mezzo. Quando sono andato a lavorare fuori pensavo che avrei risolto i miei problemi ma non è stato così e la solitudine l’ho sofferta in modo pesante. Ho trovato bravi colleghi di lavoro che mi stimano ma con nessuno ho un rapporto che si possa dire neppure vagamente di amicizia. Se il ragazzo gay che si era innamorato di me all’università non avesse ricominciato a chiamarmi penso che alla fine mi sarei buttato totalmente nel lavoro magari proponendomi l’obiettivo di comprare una casa, ma quel ragazzo ha cominciato a chiamarmi e adesso la cosa dura da quasi due mesi e ho l’impressione che per lui sto diventando di nuovo importante, troppo importante, certe volte è come se mi volesse fare capire che non gli importa nulla se sono “etero”, se me ne andrò con una ragazza lui continuerà a volermi bene comunque e magari non si farà più sentire per non crearmi difficoltà. Insomma ho l’impressione che si stia di nuovo innamorando di me anche come etero. Con me non fa mai discorsi espliciti, nemmeno a livello minimo, ma parliamo tanto. Se devo essere onesto nei suoi confronti ho mille paure, da quella dell’aids che però uso soprattutto come alibi perché il test si potrebbe fare benissimo, al fatto che lui abita in un’altra città, ma anche questo probabilmente è un alibi. Quando parlo con lui al telefono mi stendo sul letto e siccome a casa mia ci sono solo io, mi posso permettere di essere un po’ più espansivo, sempre nei limiti. Lui mi dice che non vede il momento di chiamarmi la sera perché parlare con me lo fa stare bene, perché si rende conto che c’è qualcuno che gli vuole bene al di là di tutti i condizionamenti. Quando lo dice io mi sento felice. Ti giuro Project, ho cercato mille volte di dirgli la verità ma non ci sono mai riuscito. Ma come si può fare adire a un ragazzo: guarda io ti ho preso in giro per anni! Non è così semplice e poi non sarei più affidabile, mi considererebbe uno senza rimedio. Però ci vorrei tanto provare. Ho il terribile presentimento che se se ne andasse con un altro ragazzo per me non ci sarebbero più speranze e non sarei più capace di innamorarmi di nessuno. Adesso, la sera ci sentiamo alla 21.00 in punto e la sera, quando comincia a venire quell’ora, mi monta un’ansia tremenda perché ho paura che la telefonata possa non arrivarmi, se succedesse mi sentirei malissimo. Project, tutto questo è normale? Che devo fare? Il cuore mi tira verso questo ragazzo ma come la prenderebbero i miei? E poi si riuscirebbe mai a vivere una vita vera in due? Mi sento diviso ma sto ricominciando a sentire la spinta a lasciarmi andare e la sento sempre più forte, e poi lui è veramente una persona come si deve anche se io mi faccio prendere da cento paure che in futuro possa mostrami lati di sé che non conosco. Però è la prima volta che mi sento veramente sconvolto per una cosa di questo genere, quando l’ho lasciato andare la prima volta avevo troppe idee stupide per la testa per capire quello che stavo facendo, ma adesso comincio a capire la forza del sentirsi innamorati. Project, che ne pensi? In fondo tu sai già quale risposta vorrei da te e io so già che quella sarà la tua risposta. Ho un disperato bisogno di una spinta positiva! Rispondimi presto, ti prego. Se ti andasse, mi farebbe immensamente piacere parlare con te su msn, magari oggi pomeriggio, io ci sarò. Il mio contatto è [omissis].
V.M.

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