giovedì 5 agosto 2010

GAY TRA CONDIVISIONE E SESSUALITA’ SOSTITUTIVA

La dimensione fondamentale della via affettiva è la condivisione “Chi ti ama condivide la tua vita”. Attraverso la condivisione si percepisce l’essere coppia. Per condividere la vita intera nella sua complessità è indispensabile che due ragazzi abbiano un’affinità sostanziale di carattere e di esperienze ma serve anche un notevole sforzo di volontà per superare le difficoltà che la vita di coppia comunque comporta.

I livelli di condivisione possono essere molti, di peso e di significato molto diverso, da quelli più semplici:

LA CONDIVISIONE DI REAZIONI, quando di fronte agli stimoli esterni si reagisce nello stesso modo. “Ho notato che sorrideva sulle stesse cose che fanno sorridere anche me e che si è incaz.ato quando veniva pure a me spontaneo.”

LA RISPOSTA AL SORRISO “L’ho guardato, gli ho sorriso e mi ha sorriso anche lui”

LA DISPONIBILITA’ AL DIALOGO “E’ rimasto a parlare con me e non me lo aspettavo”

LA COLLABORAZIONE ossia darsi da fare insieme per un “obiettivo comune”

fino alle forme di condivisione più profonda:

L‘AMICIZIA ossia un rapporto affettivo che rende la presenza dell’altro comunque gradita e che permette di condividere con l’amico esperienze, modi di sentire ma anche aspetti più privati della vita “Adesso siamo amici, parliamo, insomma si sta bene e poi mi fa piacere quando viene a trovarmi, qualche volta andiamo a prende una pizza o in palestra insieme, è un bravo ragazzo”

L’AMORE quando la condivisione è totale, il progetto di vita diventa realmente comune, si vive insieme il quotidiano in ogni sua componente e si progetta il futuro insieme.

In questa classificazione degli aspetti della vita affettiva in base all’ampiezza dell’area di vita condivisa, la distinzione tra amicizia e amore non corrisponde a quella classica per la quale l’amicizia non ha implicazioni sessuali mentre l’amore le ha necessariamente. Nella prospettiva che stiamo considerando, condividere la sessualità con una persona, ma solo la sessualità, escludendo l’idea di condividere altri aspetti della vita e di programmare il futuro insieme, non solo non può definirsi amore ma neppure amicizia, mentre d’altra parte una condivisione di vita pressoché totale, che escluda la sessualità può certamente definirsi amore.

Le coppie che mantengono amicizie separate “Io ho i miei amici e lui i suoi e usciamo ognuno per conto proprio”, che gestiscono separatamente quello che guadagnano “Ognuno ha il suo stipendio e lo spende come vuole”, che continuano a mantenere, salvo casi di impossibilità, rapporti separati con le rispettive famiglie di origine, che programmano percorsi professionali autonomi “Devo andare a specializzarmi a Londra, si sacrificherà un po’ ma non ci posso rinunciare”, riducono notevolmente l’area della condivisione. I componenti di queste coppie continuano a vivere aspetti fondamentali della loro vita come farebbe un single e non con la logica della condivisione, questo significa che il loro “amore” è decisamente meno “amore” di quello delle coppie che sacrificano gli interessi dei singoli sulla base di una logica di coppia. Ne deriva che questi rapporti sono di per sé meno gratificanti perché l’investimento affettivo che i singoli hanno fatto sulla vita di coppia è limitato.

Il concetto di condivisione totale è un concetto limite e in tutte le coppie l’area della individualità esiste ed è più o meno vasta.

Le persone che vivono in coppia sanno bene che la sessualità, in quell’ambito, ha senso proprio perché segno e simbolo di una condivisione tendenzialmente totale. Quando invece la condivisione è molto lontana dall’essere totale, la sessualità finisce per essere la ciliegina senza la torta e il suo valore in termini di soddisfazione affettiva crolla. Questa è la ragione di fondo della insoddisfazione sessuale di molte coppie, che di fatto è un’insoddisfazione affettiva.

Il segno tipico della crisi di una coppia è il progressivo restringimento delle aree di vita comune. Facciamo degli esempi di “discorso dominante” in tre fasi successive:

Prima fase (innamoramento): “Come stai? Sei contento? C’è qualcosa che ti preoccupa? Dai abbracciami. Giuramelo, se c’è qualcosa che non va me lo devi dire!”

Seconda fase (convivenza): “Dai non mettere il muso, pure io ho i miei problemi, se ti raccontassi tutti i problemi che ho non la finirei più”

Terza fase (disamore): “Ti sei dimenticato di pagare la bolletta! Tu pensi sempre ai cavoli tuoi!”

In genere i ragazzi gay non hanno l’idea di amore come condivisione totale perché l’educazione stessa spinge ad una visione della vita come competizione e dell’arrivare primi come massima soddisfazione. Le remore, consce e inconsce, alla condivisione totale della vita sono comunque molte e, in particolare per un ragazzo gay, l’idea di realizzarsi totalmente in una vita di coppia, che non può avere né la dimensione affettiva di un rapporto con i figli né l’approvazione sociale di una coppia etero, è difficilmente concepibile. Aggiungo un altro elemento. Nel passato, anni 40/60, quando le coppie omosessuali non erano socialmente neppure concepibili, quelle pochissime che si costituivano, pur essendo praticamente condannate in partenza a rimanere nascoste, nascevano in realtà solidissime perché praticamente prive di alternative possibili. Oggi la possibilità di conoscere altri gay esiste in concreto e la coppia gay (decisamente più diffusa che negli anni 40/60) ha ereditato gli stessi meccanismi di fragilità della coppie etero: quando c’è qualcosa che non va la prima cosa che si fa è guardarsi intorno e cercare un’alternativa e questo tra gay e facilissimo perché non ci sono figli e non ci sono vincoli legali che, lo si voglia o no, nel bene o nel male, contribuiscono a stabilizzare le coppie etero.

Ma oltre al fatto che l’idea di coppia come condivisione totale non è certamente il modello più diffuso di vita di coppia, in particolare tra i gay, c’è poi da tenere presente che, proprio per la difficoltà di costituire rapporti affettivi con altri ragazzi in giovane età (tra i 14 e i 20 anni) l’affettività è integralmente vissuta in chiave sessuale attraverso la masturbazione. Questo porta all’idea che l’essenziale in un rapporto di coppia sia la sessualità, che quindi si presenta come “il valore”, in qualche modo la prova del nove, della valenza affettiva di un rapporto. Si mira quindi immediatamente a costruire un rapporto finalizzato al contatto sessuale dando per banali tutti gli altri elementi di condivisione. Sono i casi tipici in cui si condivide solo la sessualità pensando che se c’è la ciliegina non può non esserci la torta, cioè una solida base di condivisione affettiva. Ma questa concezione si manifesta ben presto illusoria.

I ragazzi gay hanno bisogno in primissimo luogo di una educazione sessuale finalizzata alla prevenzione, ma insieme con l’educazione alla prevenzione è indispensabile che ci sia anche una educazione affettiva. Sarebbe bello se tutto questo potesse avvenire spontaneamente attraverso l’esperienza diretta di rapporti affettivi importanti con altri ragazzi ma dato che questo, allo stato attuale è irrealistico, è fondamentale che il peso della pornografia, che per i ragazzi gay è indubbiamente notevole, sia bilanciato da una conoscenza seria delle vita affettiva che un ragazzo gay si trova a vivere. Questa conoscenza si può acquisire attraverso un confronto autentico sui temi della vita affettiva con altri ragazzi gay.

Se la conoscenza dei temi veri dell’affettività gay fosse diffusa, l’accettazione della omosessualità sarebbe più facile sia a livello individuale che sociale e, in particolare, se l’idea dell’amore come condivisione totale della vita fosse compresa, si cercherebbe fin dall’inizio di costruire una dimensione affettiva forte mettendo definitivamente da parte tutti i modelli di comportamento derivati dalla pornografia.
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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay:

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