giovedì 10 febbraio 2011

GAY E ANSIA

L’ansia, ossia la sensazione dell’incombere di qualcosa di pericoloso e di incontrollabile ma nello stesso tempo di indefinibile, si presenta nei modi più vari nella vita di tutte le persone, in pratica nessuno se ne può dire immune al 100%. Spesso la percezione dell’ansia è marcata da sensazioni di vuoto, di irritabilità, di diffusa insofferenza, dal sentire il trascorrere inutile del tempo come una progressiva perdita di possibilità. L’ansia si accompagna spesso a somatizzazioni a livello cardiaco e pressorio o all’insonnia o ad uno stato di agitazione inconcludente. L’ansia compromette spesso le normali attività della vita o le rende più faticose e difficili da affrontare, allontana da una valutazione oggettiva e razionale delle cose ed enfatizza le difficoltà e i rischi, fino ad arrivare a bloccare quasi del tutto le attività di una persona e a costringerla a cercare un sostegno a livello psicoterapeutico e farmacologico.

Nel seguito mi fermerò a parlare solo dell’ansia reattiva, ossia di quelle sindromi ansiose in cui una concausa scatenante e spesso determinante si può individuare a livello ambientale, lasciando da parte l’ansia primaria per la quale non sembra di poter identificare concause determinanti o scatenanti a livello ambientale. Per chiarezza riporto alcuni esempi di ansia reattiva:

1) Uno studente, inserito in una classe scolastica, manifesta frequenti segni di ansia: insonnia, tachicardia episodica, timori immotivati, facile irritabilità, difficoltà di concentrazione, disadattamento ambientale. Quello stesso studente, dopo aver cambiato classe, non manifesta più la stessa sindrome ansiosa, appare tranquillo e bene inserito nella nuova classe.

2) Un uomo sposato che ha difficili rapporti con la famiglia della moglie manifesta segni di ansia, quando si trasferisce in un’altra città, lontano dalla famiglia della moglie, non manifesta più segni di ansia.

3) Un uomo anziano che trova problemi sul lavoro ha tachicardia, si sente oppresso dal lavoro e si aspetta di poter finire nei guai da un momento all’altro per qualche motivo che non riesce neppure ad identificare con chiarezza. Quell’uomo, dopo essere andato in pensione, ritrova la sua serenità e non ha più manifestazioni ansiose.

Come si vede, le cause dell’ansia reattiva non sono collegate solo al soggetto che la prova ma alla sua difficile interazione con l’ambiente in situazioni particolari dette appunto ansiogene. È di tutta evidenza che tra le situazioni ansiogene deve essere ricompresa anche l’omosessualità, ma non l’omosessualità in sé ma l’omosessualità in un ambiente omofobo. Vorrei sottolineare che non intendo qui come omofobia le attività di repressione più o meno violenta della omosessualità ma proprio la fobia della omosessualità, cioè la tendenza ad escluderla e ad emarginarla. L’omofobia è una realtà subdola che si cela spesso anche sotto l’apparenza della tolleranza e del rispetto. La radice dell’omofobia consiste nel percepire l’omosessuale come diverso e come altro da sé ben al di là dell’orientamento sessuale, come se l’orientamento sessuale costituisse una barriera divisoria tra gruppi umani.

L’omofobia non si può valutare in astratto né si può superare razionalmente e spesso le persone omofobe non percepiscono i loro atteggiamenti come omofobi. Naturalmente molto diversa è la percezione della omofobia ambientale da parte di chi la subisce e la vive quotidianamente come una limitazione della propria libertà. Gli omosessuali sono sensibilissimi ai risvolti omofobi dei comportamenti dei loro familiari, dei loro amici e dell’ambiente sociale in cui vivono. Per un gay si tratta di avere l’attenzione sempre concentrata per determinare “reattivamente” il proprio comportamento in modo da diminuire il rischio che l’omofobia ambientale si scateni contro lui.

Alcune situazioni particolari possono essere per un gay particolarmente ansiogene:

1) Essere sottoposto alle domande dei genitori e dei parenti tipo “Ce l’hai la ragazza?”

2) Trovarsi a scuola oggetto di attenzioni da parte di una ragazza seria che è vissuta come un pericolo in rapporto al gruppo.

3) Trovarsi in ambienti di lavoro molto ristretti e molto pettegoli in cui non sia possibile far parte per se stessi e mantenere una propria privacy.

4) Trovarsi anche provvisoriamente in situazioni di convivenza stretta con altre persone con le quali si arriva inevitabilmente a parlare di rapporti affettivi e di sessualità.

Aggiungerei a queste situazioni una quinta e una sesta che per i gay possono essere veramente fortemente ansiogene:

5) Innamorarsi di un ragazzo di cui non si conosce l’orientamento sessuale ed entrare in un percorso senza fine di indecisioni, timori e rinvii.

6) Dovere nascondere il proprio orientamento sessuale, situazione che può presentarsi a tenti livelli, dall’ansia del coming out con un amico fidato al dovere mentire al proprio coniuge da parte di un gay sposato.

Fin qui abbiamo parlato solo di ansia in termini generici, ma per i gay, molto spesso l’ansia si manifesta in dimensioni strettamente connesse alla sessualità. L’interiorizzazione della omofobia ambientale porta i gay alla non accettazione di sé e li spinge spesso inconsapevolmente a tentare la strada dalla sessualità etero. Si tratta di vere e proprie auto-imposizioni che si concretizzano nei cosiddetti “esperimenti sessuali”: provo a stare con una ragazza, se ci riesco vuol dire che sono etero. Si tratta in realtà di un meccanismo di tipo nevrotico in cui l’ansia ha la parte dominante. L’esperimento sessuale è profondamente voluto ma non come forma di sessualità ma come test che possa confermare una presunta identità etero. Non mi stancherò mai di sottolineare l’assoluta assurdità dei consigli che anche alcuni psicologi danno ai loro pazienti quando li vedono non troppo convinti della loro sessualità etero, spingendoli a “provare il sesso gay”. Non ha alcun senso “provare” il sesso gay per valutare le proprie reazioni, come non ha senso andare con una ragazza per verificare il proprio essere etero. L’orientamento sessuale non è legato ai comportamenti ma ai desideri sessuali. Ci sono gay che si sposano, la loro vita di coppia è etero al 100% ma le loro fantasie sessuali non sono etero e la loro masturbazione è in chiave gay. Per capire il proprio orientamento quindi non si tratta di provare un comportamento sessuale gay o etero di coppia, cosa che, tra l’altro, può essere rischiosa per la salute, ma di mettere da parte “gradualmente” i propri condizionamenti per conquistare prima di tutto una vera libertà in termini di fantasie sessuali e di masturbazione. Tra l’altro l’ansia originata da questioni di orientamento sessuale concepite come problema, molto spesso, provoca conseguenze, anche pesanti, in questioni che nulla hanno a che vedere son la sessualità e in particolare negli studi. Quando la mente si concentra sulla ricerca a tutti i costi di una risposta ad un problema connesso alla sessualità finisce per trascurare e minimizzare aspetti fondamentali della vita sociale e di relazione. In alcuni casi l’abbandono dello studio, come conseguenza di un modo ansioso di vivere la sessualità provoca ulteriori insicurezze e sensazioni ansiose che si estendono piano piano anche molto al di fuori della sessualità. In queste situazioni non ha alcun senso cercare a oltranza risposte certe e definitive seguendo una spinta di tipo nevrotico, bisogna invece mettersi bene in mente che in certe cose le risposte certe e definitive non esistono proprio e che l’ansia si supera solo rendendosene conto e mettendo definitivamente da parte l’idea di incasellarsi in questa o in quella categoria, ma aggiungo una cosa, riprendere gli studi, se gli studi sono stati trascurati o messi da parte, significa non solo cercare di non creare ulteriori problemi per il futuro in termini di lavoro e di prospettive economiche ma anche allontanarsi dall’idea di avere un problema che deve essere risolto presto e in via definitiva. In pratica il ritorno alla normale attività di studio o di lavoro rappresenta il sintomo più significativo del superamento dell’ansia e la terapia più utile in quel senso. Aggiungo che l’ansia che viene spesso percepita come derivante da incertezze di orientamento sessuale ha in realtà ben altre origini perché l’orientamento sessuale gay in sé, in un ambiente sereno, non suscita reazioni ansiose. Bisogna partire rendendosi conto che il problema non ce lo portiamo dentro, non lo creiamo noi, ma si tratta di una reazione ad una situazione ambientale difficile. Un problema esterno non deve trasformarsi in un problema interno e la mitizzazione al negativo della omosessualità diffusa in un clima omofobo non deve essere interiorizzata. La sensazione di solitudine deve essere considerata momentanea conseguenza di una situazione ambientale difficile perché è realmente così e queste situazioni possono benissimo cambiare. Quanto detto vale come indicazione per il superamento dell’ansia da parte di chi quell’ansia prova in prima persona, c’è però da tenere presente che la via principale per il superamento dell’ansia è la socializzazione affettiva, ossia l’avere intorno a sé una rete di rapporti affettivi veri che trasmettono sensazioni di sicurezza e di stabilità. Spesso quando ci si rende conto di avere amici ansiosi nascono scrupoli in merito al parlare con loro in modo chiaro di tutto perché potrebbero sentirsi a disagio ed è facile assumere di fonte a persone ansiose atteggiamenti reticenti o palesemente falsi a fin di bene. Come in tutte le relazioni tra persone, la cosa più sbagliata è recitare una parte, assumere un ruolo “per il bene di un’altra persona”. Una cosa da evitare nei confronti di persone molto ansiose è il tentativo di convincerle a forza di ragionamenti e di esempi che l’ansia deve e può essere superata. Nei confronti dall’ansia giova moltissimo sentirsi coinvolti in una clima affettivo vero mentre è addirittura controproducente ogni forma di ragionamento astratto. Accade spesso che questioni che non sono di per sé affatto problemi vengano invece vissute ansiosamente come problemi. In queste situazioni il confronto e il dialogo con persone che abbiano un’esperienza affine è essenziale per rendersi conto di come altri reagiscono a situazioni analoghe a quelle che anche noi viviamo e per sdrammatizzare. Sentirsi l’unica persona al mondo a dover affrontare un problema urgente e di difficile soluzione è stressante e ansiogeno, rendersi conto che il presunto problema in realtà è un problema solo nella misura in cui lo si considera tale e che moltissime altre persone si sono trovate o si trovano ad affrontare situazioni molto simili è molto più tranquillizzante e soprattutto e molto più vero.
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