mercoledì 19 novembre 2014

IL ROMANZO DI UN IN INVERTITO NATO (ottava e nona parte)

Voi avete già indovinato che amo la buona cucina tanto quanto lo stesso Brillat-Savarin. Io non mangio molto ma adoro i vini squisiti, anche quelli che non mi sembrano tali, purché abbiano un nome celebre e costino cari. Ho una passione per la selvaggina e i fagiani e qualsiasi volatile molto frollato fa la mia delizia. Amo i formaggi più rari e più profumati. Tutte le raffinatezze della tavola mi affascinano e non mi trovo bene in una cena se la tavola non è brillantemente illuminata e il servizio non è irreprensibile. Adoro il caffè turco e ne bevo molto, anche se sempre in piccole quantità e molto bollente. Anche i liquori mi piacciono ma a dosi molto piccole. Ho spesso sognato le orge romane, e una delle scene che mi hanno più affascinato è quella dell’orgia di Arbacies negli ultimi giorni di Pompei.
Adoro questa città e la percorro spesso evocando tutta la sua morta bellezza e la sua vita estinta dal Vesuvio. Ho la più viva passione per gli spettacoli equestri e la bellezza degli atleti, la loro forza e perfezione di forme mi fanno l’effetto più vivo. Invece le saltatrici e le ballerine del circo mi fanno pena e disgusto. Adoro i bei cavalli, ma preferisco farmi trainare in vettura che montare a cavallo, anche se vado a cavallo abbastanza bene. Non manco quasi mai agli spettacoli di bestie feroci e ho sempre assistito al pasto e ai giochi dei leoni e delle tigri col segreto desiderio di veder colare un po’ di sangue. Preferivo un bel domatore a tutti i poeti maligni di questo mondo. Quando vedo degli uomini – e nella mia passione per loro voglio lo scatto, la bravura, la forza e la bellezza – la delicatezza mi piace poco in loro, sono io stesso così delicato!
Amo appassionatamente il gioco. I giochi più rischiosi mi piacciono di più. Ho abbastanza fortuna nel gioco, ma il denaro scivola dalle mie mani e non resta mai nelle mie tasche. Ho spesso pagato i debiti dei gioco del mio amico, in realtà piccoli debiti. Io spendo poco per me stesso e quasi esclusivamente per i libri, la bigiotteria e per la mia toletta, che mi interessa molto.
Amo lo chic severo e corretto degli Inglesi, di cui noi seguiamo tutte le mode semplici e singolari. Mi piace molto il nero, che fa risaltare la mia figura bionda e gentile. Mi piacciono gli abiti abbaglianti e gli stivali più eleganti e all’ultima moda. Sono molto elegante di taglia e non ho mai un’aria atteggiata. Mi piacciono poco i gioielli usati dagli uomini e porto solo spille da cravatta molto semplici e il mio orologio che è una vera meraviglia. Al mignolo sinistro porto solo un chiodo di ferro, con un grande diamante che mia madre mi ha regalato. Il mio gran lusso sono i miei bastoni da passeggio: ne ho di Verdier e sono meravigliosi, uno soprattutto con un bellissimo pomo di cristallo di rocca.
Mi sembra di non avervi parlato delle mie mani che sono veramente superbe, forse la cosa più bella che ho, eccettuati il mio colorito e i miei capelli. Ne sono molto fiero, tanto più che esse sono ammirate e mi hanno detto che era un piacere essere toccati dalle mie mani. Un grande scultore, che sfortunatamente è appena morto e che ho conosciuto, ha voluto riprodurle e ho una copia di questa riproduzione in camera mia, poggiata su un cuscino di velluto blu. La loro forma è perfetta, benché strana; è lunga e snella, senza apparenza di nodi o di muscoli, le dita sono lunghe, larghe all’origine e terminano e forma di fuso. Benché di una delicatezza inaudita e di una finezza estrema, terminano in forma quadrata e c’è stato bisogno di tagliare proprio in questa forma le unghie che somigliano del resto a delle pietre preziose e sono di un rosso vivo come vernice e che passano, dopo la loro mezza luna bianca, attraverso tutte le gradazioni del rosa. Benché quadrate, la loro forma è perfetta e la carne di cui sono bordate e che le supera, malgrado la loro lunghezza, è bianca e fine come la pellicola dell’uovo. Mentre vi scrivo, ammiro le mie mani: sono veramente meravigliose.
Il pollice è delizioso, arrotondato, e la sua unghia è ovale. La mano è come di velluto bianco e vi si vedono delle leggere impercettibili sfumature di blu causate dalla vene.
L’ultima falange delle dita è rialzata in modo curioso e il colore è di un rosa vivo che contrasta con la bianchezza del resto. Il palmo della mano – che è stato studiato con cura da una signora tedesca che fa della chiromanzia e si occupa di tavolini che girano – è attraversata da linee forti, lunghe e ben tracciate che corrono senza fermarsi da nessuna parte. Esse sono del resto attraversate da una linea trasversale interrotta e divisa, che le taglia diagonalmente. La signora mi ha spiegato le linee ma credo in modo fantasioso e tutto tedesco. Io ho preso la bellezza delle mani e del mio volto dalla mia nonna paterna che era bellissima e le cui braccia e le cui mani furono così superbe che Canova le fece un giorno i complimenti. Si dice che sia stata l’amante di …. [nota di Zola: qui c’è il nome di un re.]– se si sapesse che lo scrivo – che d’altra parte non fece nulla per la famiglia e al quale noi dobbiamo forse solo la forma del nostro labbro e del nostro mento.
Mio nonno si sposò e morì ancora giovane, per i dolori provocatigli dalla moglie che del resto non gli sopravvisse di molto; è morta prima della mia nascita. Come vi ho già detto, i miei fratelli sono molto robusti e di buona costituzione. Il più grande è molto bello, somiglia a mio padre ma forse è meno bello, gli altri due non sono belli, il terzo soprattutto rassomiglia alla famiglia di mia madre che mi è odiosa. Tutti sono più grandi e forti di me e sono nati a poca distanza l’uno dell’altro. Io sono venuto al mondo dieci anni dopo l’ultimo di loro e dopo una terribile malattia di mia madre, che la portò a due passi dalla tomba; delle febbri maligne io credo. Tutti i figli dei miei fratelli sono belli, forti e di buona costituzione; c’era una bambina che mi rassomigliava in un modo stupefacente, dicevano, ma è morta diciotto mesi dopo la nascita, in poche ore, senza alcun sintomo precorritore di una morte imminente. Anche io spero di morire in questo modo.
Del resto sono di una costituzione perfetta; di una forza nervosa, di uno slancio e di una vivacità considerevoli. Molte volte cado in un grande torpore, poi ne esco con dei momenti di gioia straordinaria e con un gran desiderio di ridere. Allora non risparmio nessuno e divento il favorito di tutti per i miei discorsi, le mie adulazioni e le mie moine insinuanti ci cui ricolmo quelli che mi circondano.
Improvvisamente divento silenzioso e triste e tutti si meravigliano di questi cambiamenti repentini e senza causa – secondo loro. L’espressione del mio volto (in cui il labbro superiore è separato dal naso da una piccola curva) cambia come i colori del mare in un giorno di tempesta. Gli occhi sono quasi sempre melanconici e persi sotto le loro lunghe ciglia; li si intravede appena e il loro colore è indefinibile, sono a rotazione blu, grigi e verdi, spesso diventano violacei. Mi dicono che ho un’aria arrogante di scherno e di derisione. In realtà prendo spesso questa espressione per nascondere la mia timidezza e il mio imbarazzo davanti al mondo che tengo a distanza in questo modo. Penso che al mondo ci siano pochi personaggi egoisti come me. Per uno dei miei piaceri io sacrificherei tutti e, quando sono solo, nelle mie improvvise passioni, capisco un sacrificio fatto per altri. Nella mia famiglia che mi ha sempre viziato – scherzano sulla mia freddezza e spesso mi trattano come un ingrato per questo. Questo è sempre stato il tormento di mio padre che è troppo debole per me e che anche nei momenti poco favorevoli, non si opponeva a nessuno dei miei desideri e dei miei capricci, nemmeno quelli più straordinari e inutili. In realtà ho poco affetto per loro – e gliel’ho detto nei momenti di cattivo umore – e la causa la potete senza dubbio indovinare. Io li considero come la causa (innocente, è vero) della mia natura pervertita e straordinaria e non posso perdonare loro di avermi fatto così. Conservo verso di loro un astio terribile, ma io adesso provo a mettere da pare questi sentimenti cattivi e mi sforzo di testimoniare loro una grande amicizia, che qualche volta è proprio vera e che io provo effettivamente. Spesso mi hanno crudelmente ferito parlandomi e scherzando con me sulle mie probabili avventure e sull’amore che le donne hanno per me. In questi momenti li odio e non rispondo loro se non in un modo molto brutale che loro tollerano soltanto da me, mentre si rivolterebbero se altri mancassero loro di rispetto.
Mio padre va poco in società, la casa e la preoccupazione di ornarla e di abbellirla lo occupa completamente e si preoccupa poco del resto, se non si tratta dei suoi nipotini che lo adorano e che lui ama molto. Sono stato geloso di loro e non li potevo soffrire. Ho la massima cura della mia salute, benché all’età di quindici o sedici anni – prima del capitano – e nella solitudine nella quale mi trovavo e nelle terribili scoperte che facevo in me stesso, ho desiderato la morte senza sapere che cosa fosse ma come un cambiamento del mio stato che era impossibile; ho ben presto lasciato da parte questo sentimento comprendendo l’orrore del nulla e della putrefazione. Allora passavo ore, la notte, al mio balcone, quasi nudo, quando c’era molto freddo, pensando di uccidermi così e di sfuggire alla mie passioni che allora nessuno soddisfaceva. Non mi sono ammalato e ho ben presto lasciato da parte queste stupidaggini. Ho capito dopo che, mentre uno vive può essere felice, e io spero di vivere ancora tutta la mia giovinezza. Forse arrivato alla fine della giovinezza vorrò vivere ancora fino a cent’anni. È possibile!
Faccio docce tutti i giorni e mi do da fare al meglio possibile per avere tutte le mie forze pronte a servire le mie passioni e ad accontentare il mio amante che adesso è lontano e di cui attendo con impazienza il ritorno. Mi scrive spesso e mi parla dell’Ungheria, dei suoi cavalli e delle donne del paese. Dio sa le marachelle che mi fa! Basta che non le faccia con dei ragazzi! È tutto quello che voglio e desidero.
La sua festa è stata in questi giorni e gli ho mandato una bellissima frusta, magnificamente cesellata. Mi ha anche scritto che, malgrado il viaggio attraverso paesi selvaggi e affaticanti, è di ottimo umore ed ha sempre davanti a sé una mia fotografia che non lascia mai. Mi ha detto che non pensa che a tornare e che sogna spesso di me e del mio profumo favorito. Non lascia quasi mai – mi dice – il severo abito a coda e i colletti eleganti che gli ho imposto.
Dimenticavo di dirvi che gradirei che voi deste un po’ più di dettagli sul fisico dei vostri personaggi; il fisico non spiega forse tutta la morale dei popoli e degli individui? Ho appena letto M.lle de Maupin e ne sono completamente incantato. Oh! Il bel libro e la bella corruzione così dolce e così delicata! Scusate la scrittura spaventosa e tutti gli errori di francese e di ortografia ma la mia anima e le mie passioni mi trasportavano e io guardavo solo dentro me stesso.
Post scriptum
Nell’hotel dove mi trovo ho fatto conoscenza con un Signore di una trentina d’anni. È successo alla tavola calda. Era evidente che tentava di allettarmi e in breve tempo mi augurai quello che lui voleva. È di taglia grande, abbastanza gentile di figura, molto pallido ed elegante, con delle lunghe gambe magre; è un milanese. Se io volessi, succederebbe immediatamente! Ma io mi imbarcherei di nuovo in un’avventura del genere? Il sangue mi brucia e temo di non poter resistere alla seduzione. Se venisse adesso, temo che sarebbe subito cosa fatta. Se il capitano lo sapesse sarebbe un bel guaio. Sarebbe capace di strangolarmi.
Comunque ci vedremo stasera. Mi vesto e scendo per la cena. Sarà una serata decisiva. Mi è sembrato di accorgermi che non ha bei denti; ha lunghi baffi che gli coprono la bocca. Sarà questo che mi farà decidere e poi avanti tutta! D’altra parte questo qui partirà molto presto. Ammesso che non si attacchi a me!! È inutile che vi dica che alla posta dove mando le mie lettere io do un nome falso e un indirizzo falso, e d’altra parte tra qualche giorno, io non starò più qui. Voi dunque non saprete più nulla di me. Addio, Signore, e forse arrivederci. L’orologio suona e devo cominciare la mia vera battaglia. Ore 7 della sera.
—ooOoo—
Fin qui il documento che Zola comunicò al Dr. Saint-Paul. Lo stesso Saint-Paul aggiunge però che esiste un altro post scriptum, si tratta di una cartolina indirizzata al Signor Emile Zola, uomo di lettere, Parigi. Quest’ultimo documento è interessante perché ci mostra che la tendenza all’atto così a lungo evitato solo per la paura del dolore, non attendeva che il momento, le circostanze, diciamo, per essere più espliciti i mezzi pratici per concretizzarsi. Saint-Paul scrive che quella tendenza “era innata in questo feminiforme e, per quanto immatura, esisteva in lui fin dall’infanzia”[pag. 95], riporta poi il testo di una cartolina indirizzata a Zola dal ragazzo autore della confessione:
Ultimo documento
(Cartolina indirizzata al Signor Emilio Zola, uomo di lettere. Parigi)
Signore,
Vi mando, in copia, due lettere che ho indirizzato ai vostri editori. I Signori Charpentier non conoscono il vostro indirizzo. Spero che vi siano arrivate entrambe e che non si siano fermate per la strada. Dato che la vostra personalità è molto conosciuta, vi invio questa senza indirizzo. Spero che vi arrivi anch’essa. Quello che doveva succedere è successo. Ne conservo ancora il più delizioso ricordo e stamattina sono perfettamente felice, ve lo assicuro. Lo griderei sopra i tetti. Là dove tutti avevano fallito, lui è riuscito.
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Se volete, potete partecipare alla discussione su questo post, aperta nel Forum di Progetto Gay:

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